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Come uno straniero in patria


Tutti sono privilegiati. Non ci sono che privilegiati. Anche gli altri saranno condannati un giorno. Anche lui sarà condannato.

A rileggere oggi Lo straniero di Albert Camus sembra che nulla sia tanto diverso da quel 1942 tempestoso e tragico in cui usciva il volume per i tipi di Gallimard.
Parole e sapori di Camus pescavano nel pieno della crisi del Novecento il gusto amaro del disorientamento (post)contemporaneo, reagivano alla durezza dei tempi con la durezza di una scrittura tanto sottile quanto controcorrente, in ogni caso superbamente profonda.

Albert Camus

Era alienato dalla cinica società circostante, quello ‘straniero’ di Camus. E con altrettanto cinismo reagiva regalandoci sensazioni che si dimostrano, secondo me, senza tempo e ancora attualissime.

In fondo non c’è idea cui non si finisca per fare l’abitudine.

E invece il fascino dell’incedere di Camus resiste intatto, direi. Alcune frasi potrebbero essere usate per titolare i giornali di domani, se solo avessimo giornalisti di spirito, in questo nostro bel paese.

Persino da un banco di imputato è sempre interessante sentire parlare di sé.

A beneficio e per colpa di una giustizia inevitabilmente monca direi che in molti potrebbero trovar conforto nel rileggere le vicende processuali di Meursault.

A tutti gli stranieri in patria voglio quindi dedicare quest’ultima citazione, rimandando ovviamente i più avidi ad una lettura integrale del romanzo.

Orfanità e condanna sono sensazioni cui il ‘900 ci ha abituato, sembra.
E il miraggio di un improbabile riscatto si trascina ancora in questo terzo millennio, con lo stesso amaro sapore di ineluttabile contrapposizione – e inevitabile sconfitta.
Non senza ricambiare, però; così ci piace pensarla, nonostante il buonismo di silicone che tutt’ora sembra prosperare, mentre ancora si odono i colpi delle bombe al fosforo bianco.
Un acidulo sapore di compiaciuto odio.

Così vicina alla morte, la mamma doveva sentirsi liberata e pronta a rivivere tutto. Nessuno, nessuno aveva il diritto di piangere su di lei. E anch’io mi sentivo pronto a rivivere tutto. Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora. Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida d’odio.


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