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Poveri o ricchi? Le olive ascolane e i supplì

In cucina bastano poche generazioni per dimenticare le tradizioni autentiche – o per trasformarle con connotati nuovi, che seguano l’incessante cambiamento dei gusti collettivi.

Capita quindi che oggi, se ad esempio si entra in una rosticceria romana ben fornita, sia possibile trovare a poca distanza l’una dall’altra ricette dalle origini e dai significati assai distanti, che sembrano però oggi capaci di convivere sullo stesso bancone per offrirsi ai palati contemporanei a prescindere dalla storia e dalla memoria. Perché il gusto non ha tempo, ovviamente.

E’ il caso di due pietanze che sono senz’altro tra le più presenti negli esercizi romani, e non solo nelle rosticcerie vere e proprie ma anche nelle migliaia di ‘pizza a taglio’ che ancora riempiono gli angoli delle strade e delle piazze romane, e che forse rappresentano l’unica vera ‘resistenza’ italica all’avanzata degli esercizi che propongono cibo etnico a portar via, come kebbabbari, ristoranti cinesi e sushi bar di ogni genere e dimensione.

olive ascolane

In un angolo, quasi mai valorizzati rispetto alla pizza o ai vassoi di portata, troviamo quasi sempre un cesto metallico colmo di supplì e una vaschetta di olive all’ascolana.

Due fritti che si sembrano ormai quasi cugini, tanto ci sembra frequente la loro associazione commerciale contemporanea.

Niente di più falso. Basta ripercorre brevemente la genesi di questi due pezzi da novanta della friggitoria da asporto per comprendere quanto diversa sia stata l’evoluzione storica di questi due piatti.

Le olive all’ascolana nascono come piatto per ‘signori’ nel diciannovesimo secolo, quando le famiglie possidenti terriere marchigiane disponevano di una tale abbondanza di cibo da poterne disporre per ricette stravaganti ed originali, che d’altra parte erano in grado di dare nuovo sapore e nuova appetibilità alla carne che non poteva essere conservata a lungo, ed anzi aveva una dinamica di deperibilità completamente diversa da quella che riusciamo a concepire ora.

Ancora oggi ad Ascoli le olive fritte riepiene di carne sono un piatto riservato ai giorni di festa, e non un antipasto fritto come in uso nella maggior parte del paese. Questo anche perché la loro preparazione artigianale richiede parecchie ore di lavoro in cucina, a partire dalla denocciolatura dell’oliva fino alla frittura, che dovrebbe essere fatta sul momento poco prima del consumo.

In origine quindi le olive all’ascolana erano un piatto riservato ai ‘signori’ che avevano tanta carne da poter utilizzare e sicuramente il personale di servizio da impiegare per la preparazione materiale delle olive da friggere.

Al contrario il supplì romano è un autentico antesignano dello street food contemporaneo.

E’ un piatto poverissimo – ma comunque ricco di gusto e sostanza, nutriente e calorico come pochi.

La sua origine si perde nella notte dei tempi della Roma settecentesca, quando le madri di famiglia riabilitavano gli avanzi del pasto domenicale (riso al ragù, che la ‘pasta’ era ancora roba da ricchi!) con un tocco di mozzarella e una frittura che sanava ogni retrogusto passato, forgiando dagli avanzi un sapore ancora migliore di quello del piatto del giorno prima.

Tale tradizione familiare aveva incontrato tanta diffusione popolare da permettere la specializzazione di uno dei primissimi venditori ambulanti della Roma moderna e contemporanea, il supplitaro.

Costui attraversava la Roma papalina (molto più piccola di quella che vedete oggi) trascinando su e giù per i colli e per i vicoli un carretto spinto a mano, grazie al quale trasportava una grossa caldera di rame colma d’olio; quest’olio – probabilmente esausto – veniva portato ad ebollizione con il fuoco appiccato per strada, con mezzi davvero spartani ma non per questo meno efficienti.

suppli

Da questo calderone tutt’altro che rassicurante emergevano però queste pepite di sapore che erano capaci di sostenerti per mezza giornata di lavoro; e gratificare il tuo palato come se fosse quello di un re, almeno per quei pochi minuti che dura la degustazione di un supplì.

A distanza di un paio di secoli questi cugini del fritto si incontrano oggi tutti i giorni sul comune luogo di lavoro, nei vassoi di portata delle pizzerie dell’Urbe in attesa di esser scelti dagli avventori d’ogni risma e ceto, che li bramano, avidi di sapore e anelanti unto come si può essere solo davanti al banco esposizione dei fritti all’italiana.



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