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L’Auditorium di Roma


L’esigenza di Roma di dotarsi di un complesso musicale risaliva ormai al lontano 13 maggio 1936: data in cui venne celebrato l’ultimo concerto nella sala liberty da 3500 posti edificata all’inizio del secolo sopra i ruderi del mausoleo di Augusto, per il quale era previsto un importante progetto di recupero; da qui lo smantellamento dello storico auditorium.

Fu nel 1934, conosciuta l’esigenza della demolizione di quello esistente, che venne bandito il primo concorso per la progettazione di un nuovo complesso musicale da localizzarsi nella passeggiata archeologica ai piedi dell’Aventino, tra il Circo Massimo e le Terme di Caracalla. Ma la vaghezza del bando e il mancato rispetto per un’area così pregna di storia non portò ad una risoluzione della problematica, che venne affrontata nuovamente nel 1950 dall’Amministrazione Comunale che, su pressione dell’Accademia di Santa Cecilia, bandì un nuovo concorso di progettazione di un auditorium da realizzarsi in un’area del Borghetto Flaminio. Anche questa volta, nonostante la maggiore accuratezza alle problematiche urbanistiche del sito, il bando non portò ad alcun esito, poiché la giuria non ritenne di poter nominare alcun vincitore. Venne quindi avviato un procedimento di secondo grado che si concluse nel 1953 senza nulla di fatto. Neanche la localizzazione a ridosso di Monte Antenne venne ritenuta idonea. Bisognò quindi attendere lo scadere del secolo per giungere all’individuazione definitiva dell’area da destinare a tale opera: solo nel 1994 venne assegnata all’opera un’area residuale adibita a parcheggio vicino ai grandi impianti sportivi del Villaggio Olimpico, a margine di Villa Glori.

Un’area di circa 7 ettari di proprietà pubblica permise di avviare immediatamente le procedure concorsuali. La minore importanza, rispetto alle precedenti aree, valorizzava maggiormente il progetto donandogli di conseguenza anche una valenza di riqualificazione ambientale. Fu Alessandro Anselmi (in qualità di membro della giuria, che assegnò a Renzo Piano la vittoria del concorso) a suggerire una chiave di lettura del sito decisamente acuta ed intelligente: ritenne infatti che il progetto doveva rappresentare una linea di demarcazione fra la trama rigorosa ottocentesca del quartiere Flaminio e le unità edilizie del Villaggio Olimpico, caratterizzate dalla libertà di insediamento di stampo moderno.
L’interpretazione che Renzo Piano, sensibile per vocazione alla tematica del “vuoto”, dà di questa lettura proposta da Anselmi è intuitiva e geniale: propone un land-scape capace di evidenziare il potenziale del sito prescelto con scelte sintetiche e funzionali, ma mai in contrasto o invasive nei confronti dell’intorno. Rappresentando la prosecuzione visiva e materiale del parco di Villa Glori, potremmo dire che, con i suoi tre volumi sospesi da terra, Renzo Piano crea un fermo immagine paragonabile all’attimo nel quale larghe foglie convesse stanno per toccare il suolo, nell’eterno movimento in cui si librano dal cielo a terra, per giacere in un oceano di fogliame verde.

La struttura ha una concezione centrica dove l’epicentro è costituito dalla cavea per 3000 spettatori destinata a spettacoli all’aperto che accoglie sotto le gradinate il foyer, ad anello, comune alle tre sale che fanno da corona al grande anfiteatro. Sono proprio le tre “casse armoniche” le vere protagoniste del progetto: librate su un’enorme distesa di fitta vegetazione, sono state concepite come un vero e proprio strumento musicale capace di restituire allo spettatore un suono praticamente perfetto. Il guscio esterno a doppia curvatura toroidale è realizzato in lamine di piombo ed è completamente discostato per mezzo di strutture reticolari dall’involucro interno al fine di favorire il perfetto isolamento acustico dai rumori esterni e non permettere alcuna interferenza con i suoni interni. L’involucro interno è sorretto invece da enormi capriate in legno lamellare ed acciaio (la più grande ha una luce libera di circa 54 metri), non visibili allo spettatore, ma solo all’addetto che percorre i praticabili, predisposti al raggiungimento della “graticcia”, localizzati nell’intercapedine interclusa fra l’involucro interno e quello esterno.
Ogni sala è stata concepita per accogliere diversi tipi di musica ed è stata pensata per avere il massimo della flessibilità.

La sala più grande (2700 posti) è riservata a concerti sinfonici, a grandi orchestre e ai cori, ma anche ad opere concertate, alla musica sacra, da camera e contemporanea. La scena è organizzata secondo lo schema funzionale a “vigneto” introdotto da Hans Scharoun nella Filarmonica di Berlino e apprezzato da tutti i maggiori direttori d’orchestra del mondo, poiché è circondata da gradinate (da qui il nome a “vigneto”) occupate dai posti del pubblico. Tale disposizione (usata già nell’antichità nei teatri greci e poi dimenticata in quelli dei secoli passati, in quanto lasciando perdere i loggioni, il pubblico stava seduto allo stesso livello e perpendicolarmente all’orchestra) consente un’intima relazione fra l’auditore e il musicista e permette allo spettatore di fruire dello spettacolo sempre e perfettamente, indipendentemente dalla posizione occupata. C’è da precisare che le dimensioni di tale sala sono le massime possibili, oltre le quali si incapperebbe nella sovrapposizione fra l’eco e il suono nelle ultime file.
La sala media (1200 posti) è stata progettata per l’esecuzione di musica sinfonica con o senza coro e di musica da camera. Questa sala è caratterizzata da una importante flessibilità acustica materializzata nella possibilità di variare il volume dell’ambiente modificando le dimensioni del palco, dello spazio per il coro e per l’orchestra. Con una particolare configurazione ottenuta modificando l’altimetrie di alcune parti della sala è anche possibile l’esecuzione di ballo classico.

La terza sala, la più piccola (700 posti), è quella caratterizzata dal maggior livello di flessibilità, poiché destinata al lavoro creativo di gruppo e alla musica sperimentale. Il modello di riferimento in questo caso è la sala Ircam di Parigi, della quale vengono riproposte alcune soluzioni tecnologiche: il pavimento e il soffitto sono mobili e si ha la possibilità di intervenire sulle caratteristiche acustiche delle pareti.
Se proprio vogliamo muovere delle critiche verso l’ideazione di questi gioiellini acustici dobbiamo volgerci verso l’estrema difficoltà per il musicista nel gestire e nel “manovrare” una macchina acustica così tecnologicamente avanzata. Ma, visti gli enormi passi avanti mossi dalla tecnologia musicale, è chiaro che ormai il direttore d’orchestra non può limitarsi ad essere un “romantico” musicista dotato della sola bacchetta, è fondamentale che sia spillato anche verso quella che è la fisica tecnica ambientale, per poter gestire al meglio il suono prodotto dalla sua orchestra.
Tornando all’analisi dell’auditorium di Roma c’è da soffermarsi sulle sorprese che il sito ha regalato all’architetto Renzo Piano e all’amministrazione comunale romana: infatti durante gli scavi, mentre sembrava ormai imminente l’ultimazione di questa sospirata opera, vennero alla luce le fondazioni di un’antica ed enorme villa romana del sesto secolo a.C. Dopo l’enorme delusione che l’evento suscitò, che portò a pensare che siamo nella solita Roma dove scavando è impossibile che non escano gli abituali quattro sassi antichi, ci si rese conto che la scoperta non era di poca importanza e che, con una più attenta analisi, avrebbe potuto donare al complesso musicale un ulteriore centro d’interesse. L’equipe dell’architetto genovese si mise nuovamente a lavoro e, apportando pochi cambiamenti al progetto originale, fece spazio all’importante reperto storico. La disposizione planimetrica venne leggermente modificata e i tre volumi vennero posti ortogonalmente fra loro per lasciare spazio alle fondazioni dell’antica villa romana fra la sala grande e quella media. In questa variazione si perse un po’ rispetto alla tensione che l’architetto Renzo Piano era riuscito a donare al progetto con la prima versione planimetrica, che si articolava su un ventaglio di 140°; ma, come già detto precedentemente, il progetto si arricchì di nuovi punti d’interesse. In questa fase venne anche previsto un piccolo museo, che accoglie oggi i reperti rinvenuti negli scavi archeologici tra i quali una tegola angolare con testa di divinità fluviale.
La cavea centrale è articolata su due livelli di gradinate: il primo al livello del foyer è interamente rivestito in travertino, il secondo, subito sopra, invece presenta le alzate in cotto rustico, altro materiale ampliamente utilizzato viste le sue caratteristiche acustiche e l’enorme presenza dello stesso a Roma. Dal foyer si accede a spazi di servizio come il guardaroba, i punti di ristoro, distribuiti in maniera da evitare affollamenti e al museo sopraccitato. Da questo spazio attraverso una gradinata si accede ad una sala prove tecnologicamente molto avanzata interamente trasformabile in base alle esigenze dei musicisti. Il materiale scelto sono pannelli movibili in ciliegio e tendaggi che possono scorrere automaticamente per il controllo del suono. Sul lato Nord è collocato un edificio che accoglie le attività complementari: negozi musicali, un piccolo mercato dei fiori, un ristorante ed un bar. Ad Est alloggiano una biblioteca multimediale (specializzata naturalmente in materiale musicale) ed una nastroteca dove vengono archiviati tutti gli eventi musicali tenutisi all’interno della struttura.

auditorium

Altro elemento fondamentale del progetto è il parco che occupa addirittura i quattro quinti dell’intera area ed è organizzato intorno ad una passeggiata semianulare densamente alberata, realizzata con un fondo di terra stabilizzata, unita in alcuni punti ad un rivestimento in lastre di travertino.


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