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Roma, città degli obelischi

Con gli occhi puntati verso il Sole quegli uomini primitivi videro in questo astro dispensatore di luce e calore la fonte stessa della vita, lo adorarono come un dio, misero in sintonia la loro vita cadenzata dal giorno e dalla notte, innalzarono menhir ed obelischi per raccordare terra e cielo, per proiettarsi verso il divino, e quell’ombra proiettata a terra, indicò il trascorrere del tempo, l’inizio di un nuovo giorno, di un nuovo anno.
Sono trascorsi millenni, ma la potenza evocatrice dell’obelisco di poter toccare il cielo è rimasta immutata, tanto da essere usata come simbolo di potere terreno nei diversi periodi storici che hanno accompagnato il cammino dell’umanità, unita alla più semplice contingenza umana: quella di segnare il tempo che passa.

Gli obelischi antichi

Sono davvero tanti gli obelischi, tra egiziani e moderni, che svettano tra i tetti romani e nessun’altra città al mondo ne possiede un così elevato numero, per questo Roma è soprannominata “la città degli obelischi”. Qualcuno si chiederà come sia possibile che tale primato spetti alla capitale italiana, visto che le origini di questi monumenti ci portano in terra egizia ove sono stati concepiti e nella quale sono fioriti numerosi e imponenti: ebbene, secoli di storia, ideologie ed interessi politici e religiosi di imperatori e papi hanno fatto sì che gli obelischi  attraversassero mari e nazioni per essere eretti lontano dal luogo d’origine.
Andiamo perciò a scoprire perché queste grandiose sculture hanno da sempre affascinato epoche e culture, andiamo a sviscerare la loro simbologia e la loro storia…

L’obelisco egiziano

Gli obelischi sono dei monumenti  monolitici e si ricollegano all’evoluzione del culto della pietra sacra sollevata, come il menhir, la colonna, il pilastro. Ha una base quadrangolare e forma piramidale tronca che si allunga in altezza per decine di metri con un restringimento progressivo terminante al vertice in una punta piramidale detta piramidion.
Si tratta di opere grandiose non solo per la loro indiscussa bellezza, ma per la loro imponenza: la civiltà egizia, circa 2000 anni prima di Cristo, era già in grado di scolpire obelischi alti 30-40-50 metri, ricavandoli da un’unica roccia! Infatti gli operai lavoravano direttamente nella cava, scavando in loco i quattro lati  e lì stesso incidevano anche le iscrizioni; infine trasportavano l’obelisco via fiume, con gigantesche chiatte, fino al luogo sacro in cui veniva eretto grazie a ingegnosi meccanismi e attrezzature; ed ancora oggi, rimaniamo attoniti di fronte ad un tale dispiegamento di uomini, tecniche, strumenti…

Gli obelischi in genere erano disposti a coppia all’ingresso dei templi, ma per quale motivo venivano innalzati? Potevano esservi tre ragioni: la richiesta di forza e protezione alla divinità, un ringraziamento per una vittoria o per l’andamento prospero della politica del sovrano, oppure, infine, in occasione della celebrazione del giubileo trentennale dei faraoni e cioè il rituale di rinnovamento della regalità al raggiungimento del 30° anno di regno. Pertanto gli obelischi riportano incisi sui quattro lati i cartigli dei faraoni, i titoli del protocollo, gli epiteti sovrani e la  dedica alla divinità in particolar modo al Dio del Sole, praticamente quei segni per noi incomprensibili, rappresentano un libro aperto di storia, che da quando è stata decifrata la lingua egiziana, hanno svelato agli studiosi i loro segreti. Siamo così giunti al punto cruciale della simbologia che incarnano questi monumenti, siamo approdati al Dio egizio Atum-Ra, dio solare adorato dall’antica civiltà egizia, che nell’aspetto trinitario assumeva i nomi di Khepri, il sole all’alba, di Ra il sole allo zenit e Atum il sole al tramonto. Il culto dell’astro, fonte di vita, luce, calore ed energia, diventa preminente a partire dalla IV dinastia ( e cioè dal 2575 a.C.) quando i faraoni cominciano a presentarsi come i suoi figli: i Testi delle Piramidi rinvenuti nella camera mortuaria delle tombe, ci raccontano della trasformazione del re defunto nel sole. E poiché l’arte dell’Antico Egitto è lontana dalle contingenze umane e storiche, ma si rivolge esclusivamente alla divinità e simboleggia le divinità, pertanto l’obelisco (come anche la piramide), simboleggia il sole e certamente glorifica anche il faraone. L’obelisco, un raggio pietrificato che s’innalza dalla terra fino a toccare il cielo, raffigura il punto di passaggio del flusso vitale tra cielo e terra, la via diretta di comunicazione con il principio divino, il sole e quindi raffigura pure il passaggio dalle tenebre alla luce. La sua base quadrata, simbolo della terra e dell’uomo, attraverso il lungo stelo di luce, entra in comunione con il cielo terminando con il vertice piramidale, verso la fonte di luce, all’uno; e non a caso il piramidion era  rivestito di bronzo dorato, affinché la lamina metallica potesse riflettere e brillare dei raggi del sole.
L’obelisco, eterno e immobile come la divinità, segue il movimento diurno del sole e proiettando a terra la sua ombra, indica così il trascorrere delle ore e disegna sul suolo la contingenza del tempo che passa. Non a caso l’obelisco è stato spesso usato come  uno gnomone gigante.

Il saccheggio degli obelischi

Ma lasciamo ora l’antico Egitto, per sapere cosa accadde in seguito a questi monoliti. Il tekhen (termine egizio che significa obelisco), venne denominato  in modo un po’ canzonatorio dai Greci obeliskos che significa spiedino, riferendosi proprio alla sua forma stretta e lunga; i Romani invece intuirono quale potente simbolo di potere e vittoria incarnassero questi monumenti, pertanto decisero di adottarli. Fu allora che gli obelischi cominciarono a solcare terre e mari quali bottini di guerra  e iniziarono a glorificare il potere degli imperatori romani: ad inaugurare questa tendenza  fu Augusto, che dieci anni prima della nascita di Cristo portò a Roma il  primo obelisco, prelevandolo da Eliopolis  (“città del sole” sede principale del culto del dio Ra) e sistemandolo sulla spina del Circo Massimo. Così pian piano la città romana venne popolata da obelischi originali e d’imitazione, ma quando sopraggiunse il medioevo essi cominciarono a non essere più visti di buon occhio, erano sopravvissuti a tutto, a terremoti, saccheggi ed alluvioni ma, incarnando il dio Sole e il culto dell’imperatore, furono identificati col demonio e condannati come idoli pagani! La lotta ingaggiata da papa Gregorio Magno nel VI secolo e proseguita dagli altri papi, fece sì che gli obelischi fossero abbattuti e così questi monumenti scomparvero dalla storia, sotto metri di terra, al punto che se ne scordò perfino l’esistenza.

Ritorno alla luce

Giunse poi il glorioso Rinascimento, che portò la rinascita della cultura, delle arti e di Roma, e nella città eterna sbocciarono  nuovamente gli obelischi… Potrebbe sembrare una contraddizione, ma furono proprio i papi a far scavare metri cubi di terra, affinché gli obelischi dimenticati e in frantumi potessero resuscitare ed essere nuovamente innalzati, in quanto anche la Chiesa intuì l’antica simbologia di potere che essi incarnavano e volle adottarla per celebrare la propria potenza; gli obelischi  furono trasformati in “piedi della Croce”! Ed infatti proprio sulla punta, sul piramidion, i papi fecero issare una croce, simbolo cardine dei nuovi tempi, spesso legata allo stemma della propria casata, emblema del potere personale da immortalare per i contemporanei e per le generazioni future.
Tale “rinascita” fu avviata da papa Sisto V che, collaborando con l’illustre architetto Domenico Fontana, fece recuperare gli obelischi frantumati sepolti, e li fece disporre nei punti strategici del nuovo piano regolatore della città. I monoliti svettavano agli incroci delle nuove strade e dinanzi alle chiese principali frequentate dai pellegrini, che in questo modo potevano avvistare il luogo sacro sin da lontano.
Con il passare del tempo si riscoprì anche la loro valenza estetica e quindi nel Seicento si arrivò a decorare con essi anche parchi e fontane. Del resto, a periodi alterni, non si era mai smesso di favoleggiare sull’antico Egitto: la sua civiltà e i geroglifici hanno sempre affascinato l’occidente e ispirato le mode e le arti.
Gli obelischi continuarono ad essere eretti fino al secolo scorso: l’ultimo è venuto alla luce nel 1883 ed è stato disposto presso la tribuna di Santa Maria sopra Minerva nel 1887.
Anche le capitali europee non potevano fare a meno di sfoggiare questo colossale monumento e come per ogni altro reperto ingaggiarono una vera e propria gara per accaparrarselo! Dal 1877 se ne specchia uno (detto Ago di Cleopatra) nelle rive del Tamigi a Londra; a Place della Concorde di Parigi svetta l’obelisco di Ramesse II di cui il gemello è ancora in Egitto a Luxor. Ovviamente anche gli americani non potevano non possedere un obelisco, a costo di fargli solcare l’oceano! Così nel 1889 un altro Ago di Cleopatra, gemello di quello “inglese”, andava a decorare Central Park a New York…

Ma torniamo a noi. Roma è la città del mondo che vanta il maggior numero di obelischi: alti o bassi, più o meno ricchi di storia, monolitici o non, ricchi di geroglifici o lisci, originali o d’imitazione; e in ogni epoca in cui si scorda che esso rappresenta il proiettarsi dell’uomo verso l’infinito, quando diviene solo segno del potere, allora si torna ad innalzare la pietra, simbolo di comando, sicché l’Urbe ne ha avuti di nuovi.

Se qualcuno ci avesse chiesto quanti obelischi ci sono a Roma probabilmente avremmo saputo elencarne soltanto alcuni, perché spesso guardiamo distrattamente tutto ciò che fa parte del nostro paesaggio architettonico, ricco di tante opere da provocare assuefazione, copiosità che invece gli stranieri ci invidiano. Forse attraverso questi articoli abbiamo acquisito una maggiore consapevolezza della loro diffusa esistenza e della ricchezza del patrimonio artistico della nostra città davvero etena: Roma è l’unica città del mondo che vanta il maggior numero di obelischi, alti o bassi, più o meno ricchi di storia, monolitici o non, con incisi i geroglifici o privi, originali o d’imitazione.
L’obelisco con la sua forma pura, che passa dalla base sempre quadrata, simboleggiante il mondo terreno con i suoi quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco, a quella tronco-conica, che termina con il piramidion, in un punto (la perfezione) rivolto verso l’infinito, quale rappresentazione umana dell’elevazione dall’animalesco, ha espresso nei secoli, in un miscuglio di finalità religiosa e celebrativa, la potenza dei Faraoni prima e poi quella degli Imperatori dell’antica Roma, quella dei Papi o delle ricche famiglie romane, come i Torlonia.
Infine, trascurando il legame dell’obelisco con il dio Sole, che lo rendeva meridiana e quindi misuratore del tempo terreno, in alcuni tempi ha conservato solo l’ammaliante espressione di segno del potere. Così proprio come l’uomo primitivo innalzò la pietra, simbolo di comando, per dimostrare la propria potenza, nell’Urbe c’è stato chi ha sentito il desiderio di alzarne di nuovi, come quelli a fine ottocento eretti a villa Torlonia, commissionati del nord Italia, hanno attraversato monti e fiumi per arrivare nei giardini di una villa privata, posizionati sia sul davanti che sul retro, da dovunque ci si affacciasse si potevano ammirare come simboli del passato, espressione di un’egemonia che a Roma non era solo quella papale, ma anche delle grandi e potenti famiglie romane.

L’ultimo obelisco, elevato durante l’epoca fascista, periodo in cui tornò in auge l’arte dell’antica Roma, svetta nel piazzale d’ingresso del Foro Italico, un tempo chiamato Foro Mussolini, e sulla pietra bianca spicca tuttora l’incisione in verticale delle lettere “MUSSOLINI DUX”. E’ espressione di un uomo che voleva rimanere nella storia anche attraverso le opere d’arte. Solo recentemente si sta riabilitando la portata artistico-urbanistica di tale complesso sportivo. E per rendersi meglio conto della sua grandezza, basta pensare che crollato l’impero romano e con esso andate in disuso le terme e le palestre dove venivano allenati gli atleti, sono dovuti passare molti secoli per arrivare a pensare di offrire alla popolazione una grande struttura sportiva.
E il suo obelisco è rimasto in piedi, nonostante la guerra e i capovolgimenti politici, sebbene egli avesse interrotto l’esistenza terrena in malo modo. Al di là del credo politico, questo obelisco che non è stato atterrato all’indomani del crollo del fascismo e dell’uccisione del suo leader, rende onore ai Romani, infatti la storia purtroppo insegna che dopo un governo forte, quella parte di popolo che vuole esternare la propria soddisfazione nel cambio di regime ne elimina ogni simbolo: recentemente abbiamo visto in televisione squassare a terra la gigantesca statua di Saddam Hussein, e se non è il popolo è il suo successore a pensarci, fu fatto nell’antico Egitto per il faraone-donna Hatscepsut, la damnatio memoriae fu usata anche per gli imperatori romani, come ad esempio Nerone; mentre alcuni Papi del passato fecero atterrare gli obelischi per dare un segno forte dell’affondamento del mondo pagano che li aveva prodotti.

Niente di più errato, a nostro avviso, tanto che in seguito sono stati riscoperti conferendogli nuovamente il posto che compete loro, a far memoria di glorie, di fasti, di civiltà.
Quello del Foro Italico tutt’ora in piedi, con la sua presenza e le sue scritte, sta lì a parlarci di un’epoca, di un pezzo della nostra storia, assolvendo alla sua funzione principale: quella di memoria; sta all’uomo pensante, nel tempo, il compito di valutare e giudicare con la serenità del saggio.
Tanta storia dunque si cela dietro un’opera d’arte, religione e potere, divino e umano, e come sempre conoscere significa arricchirci interiormente, prendere consapevolezza, per capire meglio il presente, guardando al futuro, facendo tesoro del passato.



Discussione

  •     luigi   -  

    Grazie per la messe di notizie e per il lavoro di conoscenza messo a disposizione per quanti sono stimolati a sapere. L’articolo è ricco di stimoli ed induce a spostare in avanti il limite della conoscenza.

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