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Il mosaico del Nilo al museo di Palestrina


Vuoi vedere com’erano le terre d’Egitto quando il Nilo ancora straripava e le inondava con le sue acque ricche di humus, a promessa di futuri abbondanti raccolti, e intravedere gli animali e le piante e le genti che lo popolavano?

Ora si sa d’estate il Nilo non esce più dall’alveo, da quando è stata costruita la diga di Assuan, che blocca e contiene in un lago artificiale le acque, nel periodo di piena e permette il passaggio di un flusso costante, impedendo pure l’ingresso di quegli animali tipici del fiume africano come i coccodrilli, amati e divinizzati dall’uomo antico.
Il mosaico sito a palazzo Barberini, sede del museo di Palestrina, rappresenta, secondo recenti intuizioni, l’Egitto idealmente visto dalla sommità del grande Faro della città di Alessandria, crollato con i suoi ben centotrenta metri di altezza, in seguito ad un pauroso terremoto e quindi rovinosamente adagiatosi sul fondale marino. L’opera è ricca di quelle particolareggiate informazioni che si erano desunte nel 280 a.C., in seguito alla coraggiosa spedizione alle sorgenti del fiume, avvenuta sotto il regno di Tolomeo II, fu proprio tale esplorazione a procurare la conoscenza di animali, piante e pietre, site lungo il corso del Nilo, i cui esemplari furono esibiti nella grandiosa processione organizzata dal faraone, l’anno successivo.

Nella prospettiva a volo d’uccello, le figurazioni sono proiettate in verticale, e l’immenso mosaico ancora sorprende per la precisione e l’abbondanza dei particolari, si tratta di un’ immagine quasi fotografica della terra d’Egitto, che mostra una precisa dualità, a nord il fiume scorre in un mondo incontaminato ricco di flora e fauna, nel quale l’uomo rappresentato dagli etiopi a caccia si trova ancora ad uno stadio primitivo; in basso, invece, la presenza umana diviene più densa e qualificata, mentre la natura è plasmata ad uso e consumo dell’uomo.
Ma torniamo alla parte alta della composizione, dove il cielo è percorso da nubi rosate, proprie dei colori che solo l’Africa sa donare; le rocce impervie della fascia subtropicale sono costellate di “occhi” lucenti: le turchesi, secondo la notizia che diede anche Plinio.

Tra la rada vegetazione si muovono animali leggendari e selvatici, quali leoni e gazzelle, il pitone, il rinoceronte, le scimmie e accanto alle giraffe un camaleonte sospeso ad un ramo; è interessante notare come le iscrizioni che accompagnano gli animali sono scritte in greco, mentre l’ippopotamo e i coccodrilli, pur esotici in Italia, non vengono indicati da diciture, perché familiari agli egiziani, e questo sta ad indicare che il mosaico risponde ad un progetto alessandrino (stile tipico della città di Alessandria), del resto lo stesso tassellato dai molteplici colori è tipicamente orientale, e prese piede a Roma solo in un periodo successivo a quello in cui si preferiva l’opera musiva in bianco e nero. Non bisogna scordare, poi, che un tempo il pittore, il pictor imaginarius, detentore del disegno o cartone, spesso andava in giro per il mondo portando con sé la sua creazione, che poi il musivarius, cioè il mosaicista realizzava in loco.

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Torniamo al mosaico: in cielo volteggiano leggiadri gli aironi, quasi tutti ridisegnati in età moderna, il loro colore rosato spicca sullo sfondo verde azzurro del cielo.
Gli etiopi, vestiti in maniera succinta e appropriata al clima, vanno a caccia a gruppetti, armati di arco e lancia, protetti unicamente da uno scudo.
Le ultime rocce stanno ad indicare le cateratte di Assuan, là dove inizia la Tebaide.
Da questo luogo il terreno diviene piano ed inizia la navigazione del fiume, le acque sono solcate dalla barca a vela, la feluca che ancora oggi, senza remi o motore solca il Nilo, sfruttando quasi per magia il vento, regalando una sensazione unica, data dal suono, nel silenzio, del fruscio della barca che fende le acque di colore grigio-argenteo- verdastro. Più si scende in basso e più aumenta la varietà di imbarcazioni, dalla piccola canoa che al pari della nostra gondola è manovrata con un solo remo, a quelle da pesca fornite di remi, che fendono acque trasparenti, rese così grazie all’abilità dell’antico mosaicista che ha sapientemente montato le tessere sfruttando la pietra in una determinata tonalità di colore .
A metà del mosaico sorgono capanne, fattorie e templi, nell’opera si bada con l’uso delle tessere ad esaltare la resa delle tecniche edilizie: mattone crudo, pietra, marmo.

E’ la zona in cui il fluire magico del Nilo, fonte di vita per il desertico Egitto, permette l’attività agricola, la pesca e l’innalzamento dei monumenti simbolo della potenza faraonica.
In basso il mosaico si arricchisce di particolari: è divertente guardare tutti i dettagli, come la pergola ad arco animata da un banchetto, da un lato c’è un suonatore di doppio flauto, dall’altro un musico con flauto traverso.
La città di Alessandria è rappresentata, sulla destra, da un padiglione regale dove si svolge una cerimonia al cospetto di armati, a fianco una nave da guerra segnala la città come porto militare.
Insomma un mosaico che si può definire una porta aperta sull’Egitto di duemila anni fa!

Nascita e vicissitudini del mosaico
E’ uno delle più celebrate opere di età ellenistica, il mosaico policromo del Nilo. Proviene dal pavimento dell’abside del Santuario di Iside, dea egizia famosa in tutto il bacino mediterraneo, preposta alla fertilità, alla maternità, e legata al mondo ultraterreno per aver contribuito alla rinascita del marito Osiride. Il tempio, prospiciente il Foro di Praeneste, antico nome di Palestrina, è dello stesso periodo di quello del Santuario della Fortuna (noto anche per il suo oracolo) e sorgono entrambi come manifestazione di prosperità della cittadina, che aveva accumulato una fortuna commerciando con l’Oriente. Il prezioso mosaico sta a testimoniare la continuità dei rapporti con l’Egitto e rappresenta il paesaggio nilotico così come l’avevano conosciuto i Romani, secondo quanto scrive Plutarco: “ammirando la bellezza del paese, l’utilità del Nilo, il gran numero di città, le miriadi della popolazione, la facilità di difesa, e insomma tutti i privilegi di una terra capace di garantire la sicurezza di un grande impero”.

E poi l’oblio fino al 1625, allorché fu distaccato dal pavimento, e trasferito a Roma, dove per un incidente della sballatura alcune sezioni finirono disfatte. Ma grazie al Calandra il mosaico restaurato torna a Palestrina, tuttavia non viene rimontato nel sito originario, ma, pur sempre in orizzontale, a palazzo Barberini. Nel 1853 nuovo trasloco a Roma, rifacimenti e ritorno nel 1855. Con la seconda guerra mondiale per non danneggiarlo viene nuovamente tagliato in spezzoni, solo nel 1952 viene riportato a Palestrina, studiato sul retro per appurare le tessere antiche e i rifacimenti, consolidato e reimpiantato questa volta in verticale, anche se la sistemazione a parete non è ottimale per la conservazione, poiché essendo di materiale lapideo, il peso tende a dissestare la trama, anche in considerazione delle notevoli misure: alla base metri 6,15, in altezza metri 5,06.

Il museo archeologico di Palestrina
Il museo è ospitato nel palazzo Colonna Barberini, costruito sulla sommità del santuario della Fortuna Primigenia. Dal 1998 è stato nuovamente organizzato seguendo criteri tematici e cronologici. Tra i tesori archeologici dell’antica Praeneste, è di interesse la sala dedicata ai culti antichi, come quello di Ercole e quelli orientali quali Serapide, Mitra e Cibele. Nell’androne troneggia il famoso gruppo scultoreo della Triade Capitolina, Giove, Giunone e Minerva, mentre al terzo piano è visibile, montato a parete il grande mosaico policromo con l’inondazione del Nilo, opera alessandrina del II sec. a.C.

Tempio dedicato alla Fortuna Primigenia
Sulla via Prenestina, non lontano da Roma, si possono godere sensazioni uniche visitando la zona archeologica del Tempio dedicato alla Fortuna Primigenia, sulla cui sommità è sorto nel medio evo palazzo Barberini, attualmente sede museale.
Arrivati attraverso la stradina tortuosa, che conquista l’altura, ci troviamo nel mezzo dell’immenso santuario, composto da ben sei terrazze ricavate nel fianco della montagna, in una successione senografica che dal basso sale verso l’alto del colle! L’influenza ellenistica è visibile nell’architettura, ma è solo grazie alla capacità cementizia romana che fu possibile innalzare un tempio di tale grandiosità!

Di qui si gode un panorama unico e sentiamo vibrare in noi la sacralità del territorio, avvertita sicuramente da quegli uomini che per primi decisero di costruirvi un luogo di culto. Lo sguardo si posa in basso nell’ampia vallata, in cui ora sorge la moderna Preneste e si perde in lontananza fino ai monti che chiudono il nostro vagare, su un cielo che partecipa a creare lo sfondo. Scegliendo una bella giornata, si può godere appieno lo spettacolo creato dalla natura e si comprende il motivo per cui la parte più elevata del santuario non sia stata abbandonata, ma trasformata in fortezza-abitazione dai Colonna (sec. XII) ed utilizzata poi dai Barberini. Alle nostre spalle la gradinata semicircolare di accesso al Museo ricorda la sua origine primitiva a noi che la saliamo, predisponendo l’animo a recepire i tesori contenuti nel palazzo, tra cui l’immenso mosaico raffigurante l’inondazione del Nilo.


Discussione

  •     Luigi   -  

    Ho visitato il Museo di Palestrina per la seconda volta il 24 Settembre ho trovato una guida stupenda, complimenti alla direzione per la giusta scelta.

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