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Le distanze condominiali


DISTANZE LEGALI E CONDOMINIO
Fa parte ormai di un orientamento consolidato della giurisprudenza che le norme codicistiche sulle distanze legali si applicano anche agli edifici condominiali se non altro al fine di evitare che si producano, nei rapporti di vicinato, situazioni dannose o pericolose o antigieniche che pur essendo destinate a regolare la proprietà orizzontale, trovano applicazione anche negli edifici a piani sovrapposti dove si ritrovano analoghe esigenze di tutela e dove, tuttavia, sussiste il limite della stretta interdipendenza funzionale e strutturale tra le proprietà individuali tra queste e le parti comuni.

A conferma di ciò la Suprema Corte ha più volte affermato che nei rapporti tra le proprietà individuali di un edificio in condominio, vanno osservate le norme sulle distanze legali “che non siano incompatibili” con l’esercizio dei diritti che spettano al condomino (Cass. n. 1146/76) e nei limiti della “ragionevolezza”, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per se il contemperamento di vari interessi.

La “ragionevolezza” si sostanzia quindi nella valutazione del caso concreto che può comportare, onde consentire l’effettivo godimento del bene individuale, un limite per l’integrale applicazione delle norme sulle distanze, ribadendosi peraltro che simile compressione va riguardata come eccezionale e deve essere giustificata da ragioni obiettive che traggono fondamento dalla specialità stessa del regime condominiale (Cass. n. 6575/1984).
Nella pratica condominiale il regime delle distanze va tenuto distinto sotto vari profili:
a) nei rapporti tra le proprietà individuali;
b) nei rapporti tra proprietà individuale e parti comuni;
c) nei rapporti tra proprietà individuale e condominio confinante.

RAPPORTI TRA LE PROPRIETÀ INDIVIDUALI
Nei rapporti tra proprietari delle singole unità immobiliari facenti parte dello stesso stabile, la giurisprudenza nel riaffermare la tutelabilità delle distanze anche in via possessoria, ha ribadito che le relative norme vanno rispettate (purché compatibili con la situazione concreta) ogni volta che l’opera arrechi pregiudizio alla proprietà altrui, limitando ad es. il diritto di veduta, creando situazioni pericolose, intercapedini determinate da costruzioni di distanza inferiore ai tre metri da quella di altro condomino, ovvero creando intercapedini antigieniche, ecc.
Così per quanto attiene la posa in opera di tubazioni e condutture di acqua essenziali per le esigenze di vita , nell’ambito condominiale, le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell’art. 889 cod. civ., trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari; pertanto, “qualora esse siano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali” (Cass. n. 16958 del 25/07/2006).
In tali circostanze “l’apprestamento di accorgimenti idonei a evitare danni alle unità immobiliari di proprietà immobiliari di proprietà altrui può essere elemento sufficiente per rendere legittima l’opera di un condomino” (Cass. n. 6885/1991).
In tema di tutela del titolare della veduta, i proprietari dei singoli piani di un edificio condominiale hanno il diritto di non subire, a causa della costruzione di altro condomino, una diminuzione della possibilità di esercitare dalle proprie aperture le vedute in appiombo alla base dell’edificio, senza che possa rilevare la lieve entità dei pregiudizio arrecato (Cass. n. 5464/1984).
Nel tempo, tuttavia anche il diritto di veduta in casi particolari ha subito un ammorbidimento con una interpretazione giurisprudenziale evoluta guidata da criteri ispirati a solidarietà superando quel rigidismo per cui la distanza legale andrebbe comunque rispettata anche quando le costruzioni non compromettano l’esercizio del diritto di veduta del vicino.
Così, di recente, si è sottolineato che le norme sulle distanze in materia di vedute, in quanto compatibili con la disciplina della comunione essendo rivolte fondamentalmente a regolare con carattere di reciprocità i rapporti tra proprietà individuali, “sono applicabili nei rapporti tra le singole proprietà di un edificio condominiale anche se uno dei condomini utilizzi parti comuni dell’immobile nei limiti consistiti dall’art. 1102 c. c., con la conseguenza che la condotta del singolo trova il suo limite nella lesione dei diritti degli altri condomini” (Cass. n. 14646/2006).
Pertanto se da un lato, il principio di inoperatività nel condominio della normativa sulle distanze legali può valere con riferimento alle opere eseguite sulle parti comuni e sempre che si tratti di un uso normale delle parti comuni, dall’altro non si estende ai rapporti tra i singoli condomini; nel merito, però, bisognerà accertare se la rigorosa osservanza di tali norme non sia, nel caso pratico, irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali (Cass. n. 13852/2001).

RAPPORTI TRA PROPRIETÀ INDIVIDUALE E PARTI COMUNI

a) Distanze e uso delle parti comuni
Per quanto riguarda l’uso delle parti comuni l’obbligo di rispettare le distanze legali sussiste ogni vola che un condomino, volendo realizzare un’opera che volga le parti comuni a beneficio della porzione di sua singola proprietà, venga in rapporto con le proprietà di altri condomini e violi i diritti garantiti dalle norme sulle distanze legali
Per stabilire di volta in volta quali delle norme debbano prevalere se quelle sulle distanze legali o quelle proprie del condominio è stato individuato nel criterio che è quello che pone la distinzione tra funzioni primarie svolte dalle parti comuni e le utilizzazioni secondarie cui le medesime parti comuni possono dare luogo: utilizzazioni, cioè, dirette a soddisfare bisogni non essenziali legati alla disponibilità di porzioni dell’edificio.
Pertanto se un condomino intenda usare una cosa comune (muro) per soddisfare un bisogno essenziale (costruzione di una canna fumaria per l’impianto di riscaldamento) non troveranno applicazione le norme sulle distanze, che si applicheranno, invece, nei riguardi di opere eseguite su parti comuni per finalità estranee alle funzioni primarie.
La suprema corte ritiene che in generale, in caso di contrasto tra le norme sulle distanze legali e quelle relative all’uso delle parti comuni (art. 1102 c.c.), queste ultime debbano prevalere con conseguente inapplicabilità delle altre (Cass. n. 15394/2000).
Tuttavia sembrerebbe essere più opportuno che entrambe le disposizioni normative vadano contemperate in considerazione del processo evolutivo dei bisogni essenziali nel senso che solo esigenze di tipo primario possono giustificare il superamento delle norme sulle distanze, nell’equo ed armonico contemperamento degli interessi coinvolti nell’ambito della ordinata convivenza condominale.

b) Rapporti tra proprietà privata e parti comuni
Nella tipologia dei rapporti in esame, ci si chiede se nell’utilizzo della proprietà privata occorre tenersi, nell’esecuzione di opere, alla distanza legale dalla proprietà comune.
Parte della giurisprudenza ritiene che le norme sulle distanze legali si applicano solo nei riguardi delle proprietà esclusive e non nei riguardi del bene comune posto che il condomino è comproprietario dello stesso.
Altra ritiene invece che l’art. 1102 c.c. non costituisce deroga alle norme sulle distanze le quali, dunque vanno osservate anche quando il riferimento sia dato da beni condominiali finitimi.
Emerge anche qui il discorso già esposto in precedenza per cui le norme sulle distanze legali nell’ambito condominiale sui rapporti tra proprietà individuale e parti comuni sono applicabili nella misura in cui esse sono compatibili con le norme particolari concernenti l’uso delle cose comuni cioè nel caso in cui l’applicazione di queste ultime non siano in contrasto con le prime.
Nell’ipotesi di contrasto, “la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulla proprietà, quando i diritti o le facoltà da questa previsti siano compressi o limitati per effetto dei poteri legittimamente esercitati dal condomino secondo i parametri previsti dall’art. 1102 c. c., atteso che, in considerazione del rapporto strumentale fra l’uso del bene e la proprietà esclusiva, non sembra ragionevole individuare, nell’utilizzazione delle parti comuni, limiti o condizioni estranei alla regolamentazione e al contemperamento degli interessi in tema di comunione” (Cass. n. 7044/2004).
In materia di distanze, inoltre, non è possibile da parte dei privati la deroga alle norme regolamentari comunali e il relativo patto è nullo.

RAPPORTI TRA PROPRIETÀ INDIVIDUALE E CONDOMINIO CONFINANTE
Nei rapporti tra edificio o appartamento in proprietà singola ed edificio contiguo è configurabile senza alcuna limitazione la disciplina delle distanze legali.
La violazione delle distanze legali (ad es. porre condutture di acqua e gas senza avere rispettato la distanza di almeno un metro dal confine art. 889 c. c.) integra una molestia al possesso del fondo vicino leso nei suoi diritti.
Contro questa molestia è esperibile l’azione di manutenzione prevista dall’art. 1170 c.c. entro un anno dal momento in cui è stato possibile avere conoscenze della lesione.
Se c’è stato occultamento dell’illecita attività altrui e la molestia è stata percepita solo in seguito, il termine di un anno inizia a decorrere dal momento in cui vi sia stata concreta possibilità di prendere consapevolezza della clandestina turbativa.

AZIONI GIUDIZIARIE
Ciascun condomino è legittimato ad agire per far valere il rispetto delle distanze nei confronti del vicino come nei riguardi di ciascun condomino.
Il condomino è legittimato ad agire non solo contro chi violi le distanze rispetto al proprio bene esclusivo, ma anche rispetto all’intero edificio condominiale o ad altre parti comuni.
Non c’è necessità di integrare il contraddittorio con gli altri condomini in quanto il litisconsorzio necessario si verifica allorché gli altri condomini intervengono nel giudizio aderendo alla domanda dell’attore e la sentenza accolga tale domanda.
L’amministratore può agire in rappresentanza del condominio a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio in merito al rispetto delle distanze legali, solo se regolarmente autorizzato dall’assemblea.
Qualora l’oggetto della lite incide su diritti soggettivi dei singoli condomini non esiste la sua legittimazione né gli può essere conferito il potere di agire.
L’azione tende alla riduzione in pristino dei luoghi con l’eliminazione delle opere costruite in violazione delle norme sulle distanze legali e deve essere proposta nei confronti di tutti i proprietari delle opere di cui si chiede la rimozione oltre al risarcimento del danno.


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