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Rumori molesti nel Condominio


Il problema delle immissioni di rumori in condominio è uno dei più frequenti motivi di litigio, soprattutto quando si tratta di rumori provenienti da esercizi commerciali che prolungano le attività anche durante la notte.

Tutelarsi dai rumori molesti non è facile. Animali, attività commerciali, radio e televisione a tutto volume, impianti rumorosi, ed altro, possono, in molte occasioni essere causa di inquinamento acustico che mette a dura prova la pazienza dei condomini. Senza considerare che le immissioni sonore possono dare luogo anche al reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone previsto dall’art. 659 c.p.
Di fronte a varie tipologie di norme a cui appellarsi per garantirsi un po’ di tranquillità, il primo passo da fare è innanzitutto quello di delimitare l’ambito di applicazione e quindi di efficacia, all’interno del condominio, delle norme in materia di inquinamento acustico (L. 447/95), codicistiche in tema di immissioni (art. 844, c.c.) e quelle contenute nei regolamenti di condominio in materia di rumori molesti.
La normativa sull’inquinamento acustico non trova applicazione nei rapporti condominiali (in particolare la legge-quadro 447/95).

L’art. 1 della legge stabilisce i principi fondamentali in materia di tutela dell’ambiente esterno e di quello abitativo, dall’inquinamento acustico. Si tratta di disposizioni che hanno inteso fissare un limite alle attività rumorose per tutelare la salute della collettività e la cui inosservanza integra la violazione amministrativa dalle stesse, e attengono a rapporti di natura pubblicistica, intercorrenti tra la Pubblica amministrazione preposta alla tutela dell’interesse collettivo protetto e i cittadini (Sent. n. 4963/01, e n. 5398/99).
Disciplinano situazioni che vengono prese in considerazione ai fini della salvaguardia della salute in generale, a prescindere da qualsiasi collegamento con la proprietà fondiaria.
Nei rapporti privati, quindi, non trovando applicazione la legge citata, la disciplina delle immissione di rumori è rimessa all’art. 844, c.c. o eventualmente a quella più rigorosa contenuta nel regolamento di condominio.
La norma codicistica individua il concetto di normale tollerabilità (“avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi” art. 844, 1° co.) quale discrimine tra le immissioni consentite e quelle vietate, svincolandosi dai parametri fissati dalle norme in materia di inquinamento acustico, potendo molte volte apparire anche come più restrittiva di esse.
Non sono mancati infatti casi in cui la giurisprudenza ha configurato la violazione delle norme codicistiche sulla normale tollerabilità delle immissioni pur non essendo stati superati i limiti delle norme sull’inquinamento (Cass. 7545/2000, 12080/00, 915/99).

Al di fuori di tale ambito (della tollerabilità) “si è in presenza di un’attività illegittima di fronte alla quale non ha ragione l’imposizione di un sacrificio, anche minimo, dell’altrui diritto di proprietà o di godimento e venendo in considerazione unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema generale dell’azione generale di risarcimento dei danni causati all’art. 2043 c.c.” (Cass. sent. n. 10715/2006)
Come non sono mancate pronunce nelle quali “se le immissioni non superano i limiti fissati dalle norme di interesse generale, il giudizio sulla loro tollerabilità ai sensi dell’art. 844 c.c. va effettuato ugualmente e con riferimento alla situazione concreta” (Cass. 5398/99).
La disposizione dell’art. 844 è applicabile anche agli edifici in condominio nelle ipotesi in cui un condomino, nel godimento della propria unità immobiliare o delle parti comuni, dia luogo ad immissioni moleste o dannose alle proprietà di altri condomini.
Nell’applicazione della norma deve aversi riguardo, dice la Suprema Corte, “per desumerne il criterio di valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, alla peculiarità dei rapporti condominiali e alla destinazione assegnata all’edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari” (Cass, n.3093/00).
Inoltre nell’ipotesi in cui “il fabbricato non adempia ad una funzione uniforme e le unità immobiliari siano soggette a destinazioni differenti, ad un tempo ad abitazione ed ad esercizio commerciale, il criterio dell’utilità sociale cui è informato l’art. 844 c.c. impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed economica dei condomini, privilegiando, alla luce degli artt. 14, 31 e 47 della Costituzione, “le esigenze personali di vita connesse all’abitazione rispetto alle utilità meramente economiche inerenti all’esercizio di atti commerciali” (Cass. n. 3090/93).

E’ possibile tuttavia che il regolamento di condominio di natura contrattuale preveda una disciplina più rigorosa di quella contenuta nell’art. 844 c.c., come nell’ipotesi in cui faccia divieto di adibire i locali di proprietà individuale all’esercizio di attività tali da comportare una alterazione nella condizione di “tranquillità” dei partecipanti della collettività condominiale.
Quando le limitazioni non vengono formulate indicando specificatamente le attività vietate ma con la descrizione del pregiudizio che si vuole impedire, per cui sono vietati quei rumori che, pur non del tutto molesti, siano in ogni modo causa di fastidio con violazione del patto contrattuale, “la valutazione da operarsi non può essere limitata al solo rilievo dell’entità delle immissioni acustiche, ma deve estendersi anche a tutti i possibili elementi di disturbo che la considerata attività comporti incidendo sul fine oggetto di tutela” (che è appunto la tranquillità in assoluto, v. Cass. 4963/2001).

Pertanto “qualora il regolamento faccia divieto di svolgere nei locali di proprietà individuale determinate attività non occorre accertare, al fine di ritenerla legittima, se questa possa dar luogo o meno ad immissioni vietate a norma dell’art. 844 c.c., in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale possono legittimamente imporre limitazioni al godimento della proprietà esclusiva anche diverse e maggiori rispetto a quelle stabilite dalla citata norma e l’obbligo del condomino di adeguarsi alla norma regolamentare discende in via immediata e diretta ex contractu per il generale principio espresso dall’art. 1372 c.c. (Cass. n. 1195/92, 42/92, 4554/86, 5241/78).
E poiché i regolamenti di natura contrattuale e registrati assumono carattere convenzionale e vincolano tutti i condomini e i conduttori ai quali vengono locate le unità immobiliari, qualsiasi condomino potrà validamente ed efficacemente agire in giudizio nei confronti dei proprietari e conduttori dei locali dai quali provengono i rumori.

In questa giusta direzione si è mossa la Suprema Corte di Cassazione che nella sentenza n. 4963/01 citata ha deciso la chiusura di una attività commerciale, precisamente una birreria, sulla base di un divieto contenuto in una norma del regolamento di condominio contrattuale registrato, che impediva lo svolgimento di qualsiasi attività che potesse turbare la tranquillità degli abitanti.
Seguendo la linea giurisprudenziale costante precedentemente esposta in armonia con quella di privilegiare le esigenze personali di vita connesse all’abitazione rispetto alle utilità meramente economiche inerenti all’esercizio di atti commerciali, la S.C. ha ritenuto idonea a ledere la tranquillità della collettività condominiale non tanto l’attività della birreria in sé, quanto la situazione di disturbo in relazione all’apertura al pubblico dell’esercizio sino a tarda ora (andirivieni di macchine dei clienti, schiamazzi fuori dai locali, ecc.); tant’è vero che ai fini del giudizio di causa, la Cassazione non ha ritenuto necessario effettuare nessun accertamento tecnico del livello delle immissioni acustiche (art. 844,c.c.), così come ha considerato irrilevante che l’esercizio di birreria non sia previsto tra quelli obbligati dalla legge 447/95 a predisporre una documentazione di impatto acustico data l’inapplicabilità di quest’ultima, come già precisato, nei rapporti tra privati, essendo stato sufficiente di per sé il divieto contenuto nel regolamento di condominio.
Se pertanto il divieto di turbare la quiete è tassativo, non ci sono leggi che tengono: niente rumori e basta!

ALCUNE NORME DI RIFERIMENTO

Art. 844 c.c. – Immissioni
Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti de simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se no superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.
Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.

Art. 2043 c.c. – Risarcimento per fatto illecito
Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

Art. 659 c.p. – Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone
Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposto delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito ……
Si applica l’ammenda….a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’Autorità.

ALCUNE MASSIME DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

“L’art. 844 c.c. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, l’obbligo della sopportazione delle propagazioni inevitabili derivanti dall’uso della proprietà attuato nell’ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio.
Al di fuori di tale ambito si è in presenza di un’attività illegittima di fronte alla quale non ha ragione l’imposizione di un sacrificio, anche minimo, dell’altrui diritto di proprietà o di godimento e venendo in considerazione unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema generale dell’azione generale di risarcimento dei danni di causati all’art. 2043 c.c.”

(Cass. Civ. sent. n. 10715/2006)

“Ai sensi dell’art. 659 c.p. comma , la valutazione circa la sussistenza del concreto pericolo di disturbo deve essere effettuata con criteri oggettivi riferibili alla media sensibilità delle persone che vivono nell’ambiente, ove i rumori vengono percepito, di guisa che non vi è alcuna necessità di disporre una perizia fonometrica per accertare l’intensità dei rumori, allorché il Giudice, basandosi su altri elementi probatori acquisiti agli atti, si sia formato il convincimento che, per le modalità di uso e di propagazione, la fonte sonora emetta rumori fastidiosi di intensità tale da superare i limiti di normale tollerabilità, arrecando in tal modo disturbo alle occupazioni ed al riposo di un numero indeterminato di persone.”
(Cass. Pen. sent. n. 23130/2006)


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