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Il gas radon


Il radon è un gas naturale presente in alcuni tipi di sottosuoli rocciosi. È presente nel Lazio perché questa è una antichissima area vulcanica. Può essere pericoloso in determinate concentrazioni, ma è altresì facilmente eliminabile, così da non essere un pericolo per l’uomo.

Negli ultimi 20-30 anni il problema dell’esposizione al radon negli ambienti domestici, così come in quelli lavorativi, ha registrato un interesse crescente su scala mondiale.
Diverse infatti in questi anni sono state le Commissioni e le Organizzazioni scientifiche che in diversi paesi hanno condotto delle ricerche approfondite sul tema, giungendo a risultati che sono stati spesso di fondamentale riferimento nei diversi Stati, ed anche in ambito Comunitario, per l’emanazione di specifiche direttive e normative, volte da un lato alla definizione dei valori di concentrazione limite di radon al di sotto dei quali si possa considerare garantita la salute pubblica nei luoghi domestici e di lavoro, e dall’altro all’indicazione delle tecniche e delle metodologie da perseguire per ridurre le concentrazioni di radon e mitigarne gli effetti.

Benché la comunità scientifica internazionale registri ancora una pluralità di vedute su alcuni aspetti del problema, su almeno alcune questioni fondamentali esiste una generale concordanza, ed in particolare sul fatto che:

– il radon rappresenti la maggiore sorgente di esposizione alle radiazioni per il genere umano;
– l’esposizione al radon, oltre certe concentrazioni, comporti la possibilità di contrarre tumore all’apparato respiratorio, in particolare ai polmoni;
– sulla base di decennali studi epidemiologici condotti in tutto il mondo, si può asserire che il radon rappresenti la seconda causa di tumore ai polmoni dopo il fumo.

Da ciò ben si comprende come il rischio per la salute pubblica legato all’esposizione al radon rappresenti una questione di interesse collettivo tutt’altro che trascurabile.
Tuttavia, anche ai fini di non creare allarmismi, è utile sapere che oggi esistono diverse tecniche e metodologie, spesso non particolarmente onerose, che consentono di diminuire le concentrazioni di radon all’interno dei fabbricati al di sotto di valori per i quali sia possibile condurre una normale esistenza senza alcun rischio a carico della salute.

Il radon

Il radon è un gas radioattivo incolore ed inodore, che viene prodotto dal decadimento di tre elementi chimici, più precisamente il Torio 232, l’Uranio 235 e l’Uranio 238.
Come per le altre sostanza radioattive, anche la radioattività del radon si misura in Bequerels (Bq), dove 1 Bq corrisponde ad una disintegrazione al secondo (una concentrazione di radon pari ad esempio a 100 Bq/m3 starà quindi a significare che in quel metro cubo di ambiente in esame 100 atomi si disintegrano ogni secondo).
La possibilità che un certo territorio sia a rischio di emanazione di radon, dipende in ultima analisi dalla possibilità che in quel territorio vi sia o meno la presenza degli elementi capostipiti appena citati, dal cui decadimento radioattivo si origina, per l’appunto, il radon.

E’ evidente che in un certo contesto territoriale la geologia dell’area è il primo ed il più importante elemento che condiziona la presenza di tali elementi capostipiti, i quali, seppur generalmente presenti in traccia pressoché ovunque, possono raggiungere tenori significativamente più elevati in alcune rocce particolari.
Le rocce nelle quali è più facile che gli elementi progenitori del radon raggiungano maggiori concentrazioni sono: le rocce granitiche e le rocce connotate dalla presenza di alcuni minerali denominati feldspati (come le sieniti), e feldspatoidi, questi ultimi sono dei minerali particolarmente abbondanti nelle rocce di origine vulcanica presenti soprattutto nel Lazio, sia sotto forma di lave che di rocce piroclastiche (tufi e pozzolane).
Infine concentrazioni significative negli elementi capostipiti del radon si possono incontrare anche nelle argille ricche di alluminio.

Tuttavia è di fondamentale importanza sottolineare che la presenza in un certo territorio di tali tipologie di rocce non significa a priori che esse inevitabilmente contengano gli elementi chimici progenitori del radon!
Se si è quindi in presenza di tali rocce, si dovrà valutare caso per caso, con opportune tecniche di misurazione, il reale potenziale al rilascio di radon della zona, che potrebbe anche essere ben al di sotto dei valori di rischio.
Il radon è un gas otto volte più pesante dell’aria (ciò significa che può tendere a stratificarsi sul terreno), ed è in una certa misura solubile in acqua, ragione per la quale esso può essere catturato in falda e trasportato anche a grande distanza dalle zone di origine.
Data la presenza di rocce contenenti gli elementi progenitori del radon, la diffusione del gas radioattivo è influenzata da un diverso numero di fattori.

In linea generale, essendo il gas rilasciato dal terreno, la sua diffusione in atmosfera sarà tanto maggiore quanto più il terreno presenta condizioni favorevoli al proprio attraversamento.
In questo senso la presenza di fratture e di faglie, soprattutto di una certa entità, costituiscono senza dubbio delle vie preferenziali in grado di veicolare il radon dal sottosuolo verso la superficie.
Inoltre le caratteristiche intrinseche del terreno quali: la sua porosità e la sua permeabilità, concorrono in maniera determinante alla diffusione del radon; un terreno più poroso e permeabile di un altro sarà ovviamente più facilmente attraversabile da questo gas.

La presenza di un reticolo idrografico sotterraneo, come nelle aree carsiche, rappresenta un ulteriore veicolo di trasporto del radon (che come è stato detto è moderatamente solubile in acqua), in grado di condurre il gas anche a notevole distanza dall’area di origine sino a quando non incontra condizioni favorevoli al suo rilascio in atmosfera.
In ultimo, il rilascio del radon dal terreno è influenzato dalle condizioni metereologiche.
Tendenzialmente una situazione di alta pressione tenderà in una certa misura a confinare il gas nel terreno, e secondo lo stesso principio l’instaurarsi di condizioni di bassa pressione tenderanno a favorire il rilascio del radon dal terreno, ma anche la sua dispersione.
Anche le precipitazioni, come è comprensibile, influenzano i tenori di radon rilasciati dal terreno, poiché un terreno saturo d’acqua offrirà al gas maggiori difficoltà al suo attraversamento rispetto al caso di un terreno secco.

L’esposizione al radon
Sebbene il radon venga rilasciato dal terreno in atmosfera, negli ambienti aperti le sue concentrazioni non raggiungono mai dei tenori comportanti dei rischi per la salute, poiché le correnti d’aria ed il mancato confinamento degli spazi tendono a diluire la presenza del gas rendendolo di fatto innocuo.

I rischi da esposizione al radon si realizzano invece all’interno dei fabbricati (ubicati sopra ad aree inquinate da questi gas) dove, di norma, il ricambio d’aria è di gran lunga inferiore rispetto agli spazi aperti (soprattutto d’inverno) e dove pertanto le concentrazioni di radon possono raggiungere tenori anche al di sopra dei livelli considerati di sicurezza per la salute.
Il radon si diffonde all’interno dei fabbricati da diverse vie, avendo sempre come sorgente il terreno sottostante.
Le vie preferenziali di diffusione per capillarità del radon sono tutte le discontinuità, anche infinitesime, presenti nella struttura del fabbricato, quindi le piccole lesioni nella muratura e tutti i punti in cui sono presenti dei giunti murari, nonché lungo i cavedii delle tubazioni.

Altre vie di diffusione minore del radon possono essere l’impianto idrico (data la solubilità del radon, l’acqua può contenere del gas disciolto) e, in taluni casi, le stesse murature, se realizzate con del materiale contenente gli elementi chimici progenitori del radon (ad es. tufi vulcanici).

A causa della minore pressione che generalmente s’instaura nei luoghi chiusi rispetto all’esterno, l’aria presente all’interno di un fabbricato tende inevitabilmente a stagnare; ciò comporta, in caso di diffusione di radon all’interno di un fabbricato, che il gas tenderà a concentrarsi, potendo raggiungere dei tenori in grado di generare dei potenziali rischi per chi vi risiede.

Considerando che in un paese come il nostro la popolazione trascorre la maggior parte del proprio tempo in ambienti chiusi, siano essi abitazioni od uffici, dovremmo riflettere sull’importanza del rischio all’esposizione al radon che potrebbe generarsi a carico della popolazione, soprattutto nelle zone del nostro paese nelle quali la geologia del territorio presenta delle rocce che potrebbero contenere gli elementi chimici progenitori di questo gas radioattivo.

Il quadro normativo
L’interessamento al problema dell’esposizione al radon che si è avuto negli ultimi decenni in diversi paesi del mondo, soprattutto da parte di accreditate commissioni ed organizzazioni scientifiche internazionali, ha prodotto negli anni diverse raccomandazioni e direttive, sulla base del cui recepimento in diversi Stati, ed anche in sede Comunitaria, sono state approvate delle norme specificamente attinenti alla tutela della salute pubblica dal rischio radon.

– La prima importante presa di posizione sull’argomento che ci riguarda da vicino è stata in sede di Unione Europea la Raccomandazione EURATOM n° 143/90 della Commissione del 21 febbraio 1990 sulla tutela della popolazione contro l’esposizione al radon in ambienti chiusi, la quale trae spunto dalla Raccomandazione n° 39 del ICRP (International Commission on Radiological Protection).
Con tale Raccomandazione rivolta agli Stati membri, la Commissione, ai fini della tutela della salute pubblica, istituisce come valore massimo di concentrazione media annua di gas radon prevedibile negli edifici esistenti a quella data il limite di 400 Bq/m3, e negli edifici da costruire il limite di 200 Bq/m3.
Inoltre essa prevede che la popolazione venga adeguatamente informata e che le autorità competenti garantiscano l’adeguatezza della qualità e dell’affidabilità delle misurazioni.
La Raccomandazione prevede altresì che siano definiti i criteri per l’identificazione di Regioni, località e caratteristiche costruttive probabilmente connesse con alti livelli di radon in ambienti chiusi. Tale Raccomandazione è tuttora non recepita in Italia.

– Successivamente, sempre in ambito Comunitario, è entrata in vigore la Direttiva 96/29/EURATOM del Consiglio del 13 maggio 1996, recante norme per la protezione della popolazione negli ambienti di lavoro contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti.
Tale Direttiva in Italia ha avuto attuazione mediante l’emanazione del D.lgs n° 241 del 26 maggio 2000.
Il Decreto stabilisce un livello di azione pari a 500 Bq/m3, al superamento del quale, qualora si verifichi che la dose efficace a carico del singolo lavoratore sia uguale o superiore a 3mSv/anno, l’esercente dovrà predisporre tutte le azioni di rimedio del caso, con l’obbligo di una misurazione annuale dei livelli di radon per accertare l’avvenuto abbattimento della dose efficace al si sotto dei limiti stabiliti.

– Sulle caratteristiche dei materiali da costruzione, fondamentale è stata la Direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del 21 dicembre 1988 – 89/106/CEE, che ha avuto attuazione in Italia nel D.P.R. 246/93, il quale nell’Allegato “A” prevede che qualsiasi opera debba essere realizzata in modo da non costituire una minaccia per la salute, anche a causa della formazione di gas nocivi o pericolosi, o dall’emissione di radiazioni pericolose. Tuttavia il decreto non stabilisce alcun valore soglia di radioattività per i materiali da costruzione.

– Più recentemente la Regione Lazio ha emanato la L.R. n° 14 del 31 marzo 2005, avente come finalità la prevenzione e la salvaguardia dal rischio radon.
La legge prevede che entro due anni dalla sua entrata in vigore la Regione adotti un piano regionale di prevenzione e riduzione dei rischi connessi all’esposizione al gas radon avvalendosi del supporto dell’Agenzia Regionale per l’Ambiente (ARPA).

Il piano dovrà contenere la delimitazione delle aree e l’individuazione degli edifici ritenuti a rischio, i criteri e le modalità per il recupero ed il risanamento degli edifici a rischio così come le prescrizioni costruttive da osservare nell’edificazione di nuovi fabbricati su aree ritenute a rischio.
Il piano dovrà altresì contenere l’individuazione delle aree a rischio da sottoporre a monitoraggio periodico ed un sistema di riduzione all’esposizione al radon nell’approvvigionamento di acqua potabile .
La legge regionale prevede inoltre che la predisposizione di progetti di recupero e di risanamento degli edifici già esistenti considerati a rischio farà capo ai Comuni, in forma singola o associata, i quali potranno usufruire, nei limiti dell’apposito stanziamento, di contributi regionali erogati in base ad una graduatoria stabilita su criteri di priorità.


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