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Retroscena della leggenda di Romolo e Remo


Noi romani abbiamo il privilegio, rispetto a tanti altri abitanti del mondo, di conoscere sia pur in maniera leggendaria, il fondatore della nostra città.
Smitizzare la leggenda dei gemelli Romolo e Remo non è un oltraggio nei confronti del popolo romano, ma una maniera interessante di appurare come la storia della nascita dell’Urbs, che i Romani crearono per nobilitare le loro umili origini di pastori, sia legata, nei suoi passaggi narrativi, alla cultura più ampia delle civiltà del Mediterraneo.

Tanto per cominciare Romolo e Remo non nascono da una donna qualsiasi di casta nobile, ma da madre vergine, la vestale Rea Silvia, figlia di Numitore, re di Albalonga, detronizzato dal malvagio fratello Amulio. Questi aveva costretto la nipote a farsi vestale affinché il fratello rimanesse senza discendenti, dato che le sacerdotesse dovevano far voto di castità. Ma la vergine Rea Silvia unitasi segretamente con il Dio Marte , dette alla luce i due gemelli.

E certo la presenza nel proprio fondatore di sangue divino, archetipo diffuso in diverse civiltà, dette un tocco di classe a quei pastori che popolarono per primi i sette colli e che accettarono con naturalezza la storia dell’unione dell’umano con il divino, tramandandolo ai posteri. Lo zio Amulio, venuto a conoscenza del fatto, fece seppellire viva Rea Silvia, mentre i due gemelli furono gettati nel Tevere , ma si salvarono perché “così si vuole là dove si puote”.

Anche in questa storia troviamo una tipologia di eventi diffusa nell’Oriente mediterraneo, cioè l’eroe fondatore, nato da poco, salvato dalle acque, esempi sono Mosè, Saragon e Perseo. Inoltre comune è la circostanza dei futuri eroi, abbandonati da piccoli e allattati da animali: una lupa nutrì Mileto, e una cerva allattò Telefo.

Romolo e Remo, salvati dalle acque dal pastore Faustolo nelle paludi del Velabro alle falde del colle Palatino, furono allevati da questi e dalla moglie che sembra si chiamasse Acca, nutrice dalla dubbia reputazione, soprannominata Lupa; di qui la nota iconografia della lupa che allatta i gemelli.
Divenuti adulti i due vollero fondare una città là dove erano stati salvati, ma racconta lo storico Plutarco nella “Vita di Romolo“:

“…visto il fratello intento a scavare un fossato, in cui doveva correre il muro intorno alla città, (Remo) prese ora a deridere, ora ad ostacolare il suo lavoro. Infine l’attraversò con un salto, ma nel medesimo punto stramazzò; alcuni dicono abbattuto dallo stesso Romolo, altri da un suo seguace…”

E’ una storia tragica, di difficile comprensione per noi moderni. Come può l’assassino di un fratello divenire fondatore di una città ed esserne acclamato Re? La mente corre ad una storia analoga, al racconto biblico dell’uccisione di Abele da parte del fratello Caino,archetipo del fratricida, voluto dalla volontà divina a proseguire la stirpe umana. Per capire l’azione omicida di Romolo bisogna comprendere la gravità della provocazione di Remo ed il valore sacro che gli antichi attribuivano alla cinta dell’urbs, fossato o mura di qualsiasi dimensione esse fossero. Plutarco torna a parlarne nell’opera le “Questioni romane“:

“A quanto pare, il motivo per cui Romolo uccise suo fratello Remo fu che questi volle attraversare un luogo sacro e inviolabile…”

Romolo quindi sarebbe stato costretto ad uccidere Remo, sebbene fosse suo fratello, perché questi aveva compiuto un sacrilegio nel profanare il sacro solco. E Varrone sostiene:

“Forse dobbiamo considerare sacre le mura, perché gli uomini siano pronti a dare generosamente la vita per difenderle…”

E la storia ci insegna quante vite siano state sacrificate per difendere la città di Roma!

colosseo


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