Casa Editrice Online

Escher architetto mancato


In occasione del festeggiamento del centenario dell’Istituto Olandese a Roma, è stata allestita nei Musei Capitolini una mostra prestigiosa, per numero e raccolta di opere (xilografie e litografie) dedicata all’olandese Escher, che molto deve nella sua evoluzione artistica proprio all’Italia ed in particolare a Roma.

Il padre voleva che Maurits Cornelis Escher (1898-1972) si laureasse in architettura, ma il disegno era l’unica passione del giovane, sicché abbandonò l’università e, con l’approvazione riluttante del genitore, seguì le lezioni di De Mesquita, un’insigne artista grafico; ma la vita solitaria, riempita solo dallo studio della letteratura russa e dall’ascolto di concerti d’organo lo portò alla depressione…” Che facciamo, noi viventi, altro che danzare verso la morte?”. Per alleviare il suo stato, i genitori decisero di portarlo in viaggio in Italia, come era tradizione per molti giovani di famiglia benestante. Le incomparabili bellezze della nostra affascinante terra ebbero subito sul suo temperamento malinconico ed inquieto un effetto rilassante, tanto che vi tornò con degli amici, seguendo un ideale percorso iniziatico…

”Oltre le bellezze estetiche che si potevano ammirare, c’era qualcosa che era più potente e più importante.Probabilmente era il passato glorioso e orgoglioso che comunicava con me e che mi faceva percepire che secoli fa era avvenuto qualcosa di importante, quante persone importanti hanno camminato per le strade dove vado io adesso”.

Visitò Firenze, San Gimignano, Volterra, Siena, Orvieto, Perugia, Assisi, Urbino, Ravenna, Padova, Venezia e dopo un viaggio in Spagna vide Genova, Pisa, Roma e il meridione, dove a Ravello conobbe nel 1923 la sua futura moglie, figlia di un industriale svizzero, (nello stesso anno a Siena allestì la sua prima mostra personale) successivamente si sposarono e con il sostegno finanziario dei genitori, si stabilirono a Roma per un decennio. Nella nostra città più che ad appassionarsi allo studio dei monumenti, si dedicò alla ricerca degli effetti della luce notturna sulle opere romane, disegnava seduto su di una sedia pieghevole, con una piccola torcia appesa alla giacca, parlando a volte con i passanti, che a detta sua si meravigliavano più dell’uso della pila che della perizia dei suoi disegni.

La xilografia, praticata dall’olandese, era stata portata in auge da numerosi artisti italiani, ed era legata alle vedute cittadine e di paesaggio, insomma un’inquadratura piuttosto tradizionale, che nella produzione giovanile di Escher (visibile alla mostra), sfiora il virtuosismo. Possibile fonte d’ispirazione deve essere stato pure il grande architetto e incisore Giovanni Battista Piranesi, noto per la riproduzione degli antichi monumenti romani.

Ed Escher preso dalla brama di conoscere tornò a viaggiare, preferibilmente durante la stagione primaverile, visitò Tarquinia, Viterbo, Napoli, l’Abruzzo, la Corsica, la Calabria, il Gargano, la Sicilia. Durante questi viaggi eseguì centinaia di disegni…”I disegni servono come un diario, cioè per sapere più tardi ciò che io qui vedevo, per vedere bene ciò che vedo”. Dunque paesi e paesaggi, scaturiti dallo stupore di un olandese, abituato ad un panorama dall’orizzonte lineare, al massimo animato dalla presenza monumentale dei mulini a vento, e quindi possiamo immaginare che effetto stupefacente possano aver esercitato su di lui la vista delle ripide e scoscese montagne appenniniche e i paesini arroccati sui monti a picco sul mare della costiera amalfitana. Uno studio che apre la strada alle ricerche prospettiche successive.

Allora si viveva la novità del movimento dell’Aeropittura,che mirava a rappresentare nei dipinti la deformazione della realtà come si manifesta agli occhi di chi l’osserva dall’alto di un aereo, e si respirava anche l’aria della poetica futurista: la simultaneità della visione, la molteplicità dei punti di vista, la soggettività dell’osservatore rispetto all’opera, la ricerca di una sintesi spaziale. Escher era sempre stato affascinato dall’idea dell’infinito, che per un grafico significa rinchiuderlo dentro la dimensione di un foglio e lui cercò di superare questo limite con la ripetizione di forme simili, che si completano a vicenda e che si ripetono in un ciclo continuo.

escher

In epoca fascista allontanatosi dall’Italia per motivi politici, cominciò a vivere delle “immagini interne” come lui definisce l’assimilazione dei paesaggi e dell’arte italiana e dei disegni ”periodici” che aveva visto all’Alhambra di Granada, in Spagna. Infatti le architetture impossibili dell’olandese traggono origine dalla tanto amata pittura medioevale senese: nelle tavole, dai fondi d’oro, negli affreschi, sono ricorrenti quelle anomalie spaziali, quell’effetto di “architettura impossibile”, quelle scene sovrapposte in edifici spalancati verso lo spettatore come un palcoscenico, che generarono le incoerenze prospettiche disegnate da Escher. Egli abbandona l’architettura reale per una fantastica, che scardina le certezze dello spazio euclideo, con l’abolizione dell’unicità dello spazio, moltiplicando i punti di osservazione. Sono noti, inoltre, gli influssi di Hyeronimus Bosch e Van Eyck, come nella “simbologia dello specchio”: gli specchi convessi catturano il mondo circostante, il macrocosmo, racchiudendolo nel microcosmo di una pagina da disegno, una maniera nuova di rivisitare il celebre “autoritratto allo specchio convesso” del Parmigianino, è l’infinito nel proprio piccolo e limitato  mondo… scrisse Escher: ”L’uomo è incapace di immaginare che in qualche punto, al di là delle stelle più lontane nel cielo notturno lo spazio possa avere fine, un limite oltre il quale non c’è che il ‘nulla’… E’ per questo che da quando l’uomo è venuto a giacere, sedere, stare in piedi, a strisciare e camminare sulla terra, a navigare, cavalcare e volare sopra di essa (e lontano da essa), ci siamo aggrappati ad illusioni, a un al di là, a un purgatorio, un cielo e un inferno, a una rinascita o a un nirvana, che esistono tutti eternamente nel tempo e interminabilmente nello spazio”.

Escher trascorse la vita a disegnare architetture impossibili, e tutta la famiglia ruotò intorno a lui e alle sue esigenze, così divenne famoso perfino tra matematici, fisici e cristallografici e anche al grande pubblico, ma il matrimonio fallì, i figli andarono ad abitare all’estero e lui rimase solo. Si trasferì nella casa per artisti anziani a Laren, in Olanda, dove morì il 27 marzo 1972.


Aggiungi un commento