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Reati penali e tributari dell’amministratore di condominio


Con l’articolo in trattazione, cercheremo di illustrare le problematiche inerenti i doveri e le responsabilità penali dell’amministratore di condominio di fronte ai provvedimenti emessi dall’Autorità la cui inosservanza è sanzionata dall’art. 650 codice penale.
A tal fine si ritiene di dover riportare la norma nella sua interezza così da consentire una migliore comprensione dell’argomento trattato:

Art. 650 c.p. (Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità)
Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o di igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a € 206.

E’ quasi certezza il fatto che, almeno una volta, un qualsiasi amministratore di condominio si sia trovato nella condizione di dover eseguire un provvedimento emesso dall’Autorità ed inerente lo svolgimento di attività o di opere all’interno dello stabile dallo stesso amministrato.
La rilevanza penale del suo mancato adempimento è, pertanto, da far risalire all’applicazione del disposto di cui all’art. 650 c.p. sopra riportato.
Innanzitutto si deve sottolineare che per provvedimento dell’Autorità, per quanto qui di interesse, si intende “il provvedimento emesso esclusivamente per ragioni di giustizia e di sicurezza, di ordine pubblico o di igiene della collettività, e non di privati individui” (Cass. Pen., 4/12/1985, ricorrente Giannetti).

Di conseguenza, ogni provvedimento che venga emesso al di fuori delle ipotesi appena elencate sfugge alla sanzione prevista dal succitato articolo.
Nel corso del tempo si sono susseguite non molte pronunce della Suprema Corte di Cassazione che, però, ci consentono di dare maggiore chiarezza sull’ambito di applicazione della norma citata.
Peraltro, come di seguito andremo a vedere, dette pronunce hanno avuto ad oggetto questioni di facile ricorrenza nella quotidianità di un condominio.

Ad esempio, in materia di adempimento al provvedimento d’urgenza emesso dal Tribunale (ex art. 700 c.p.c.) “nel corso della causa civile promossa da alcuni condomini, con il quale veniva imposto all’amministratore di eseguire i lavori ritenuti necessari dal Consulente Tecnico d’ufficio per l’eliminazione delle infiltrazioni di acqua piovana attraverso il tetto nello stabile da lui amministrato, che aveva causato danni alle pareti ed ai soffitti degli appartamenti sottostanti”, la Suprema Corte, annullando la sentenza di condanna emessa dalla Corte di Appello, ed in ciò richiamando la sentenza su riportata relativa al ricorrente Giannetti, stabilisce “che i provvedimenti del giudice, che riguardano sempre un interesse particolare, non possono rientrare nella previsione dell’art. 650 c.p. che ha come oggetto specifico la tutela penale degli interessi di carattere generale. Costituiscono una eccezione i casi in cui l’inosservanza dei provvedimenti del giudice sono espressamente previsti come reato da una specifica norma penale, come nel caso dell’art. 388 c.p.” (C. Cass., Sez. I, 2/4/2001, Pres. Sossi).
La Corte di Cassazione, nella stessa sentenza ha, inoltre, evidenziato che tutti i provvedimenti del giudice eseguibili coattivamente o accompagnati da una sanzione particolare, non necessariamente penale, non entrano nella sfera di applicazione dell’art. 650 c.p..
Relativamente alla fattispecie affrontata (provvedimento ex art. 700 c.p.c. per infiltrazione piovana), la Corte di legittimità ha concluso sottolineando l’insussistenza del reato contestato in quanto i lavori erano stati comunque eseguiti a seguito di esecuzione coattiva.

Altri due casi sono stati affrontati dalla giurisprudenza della Suprema Corte sempre relativamente alla mancata (o presunta tale) esecuzione da parte di un amministratore di condominio di un provvedimento dell’Autorità.
Il primo è quello relativo all’eventuale dovere dell’amministratore di attivarsi al fine di ridurre l’intensità dei rumori conseguenti all’uso dell’impianto di riscaldamento; l’altro relativo al transennamento di un’area per ragioni di sicurezza e realizzazione di opere di protezione e ripristino.
Sul primo punto si sono succedute due pronunce della Corte di legittimità.
La prima del 6/12/1980, ricorrente Montagna, ha visto la condanna dell’amministratore del condominio per aver omesso di intervenire per evitare rumorosità dell’impianto di riscaldamento; la seconda emessa in data 4/12/1985 e richiamata già in precedenza, sovvertendo la precedente pronuncia del 1980, ha ritenuto insussistente il reato di cui all’art. 650 c.p. evidenziando che il provvedimento emesso dal sindaco riportante l’ordine di adottare gli opportuni accorgimenti per ridurre l’intensità dei rumori conseguenti all’uso dell’impianto di riscaldamento non tutelasse un interesse della collettività bensì di un singolo individuo.
Detta apparente incertezza sulla possibile punizione dell’omesso intervento da parte dell’amministratore è, a parere di chi scrive, superabile anche e soprattutto in riferimento al fatto che la pronuncia del 1985 supera cronologicamente quella del 1980 nonché per il fatto di essere stata, poi, ripresa e confermata, per il principio espresso, da quella del 2001 anch’essa precedentemente richiamata.
Ne consegue che, qualsiasi intervento venga richiesto all’amministratore del condominio, qualora non rivesta un interesse per l’incolumità o l’igiene pubblico (e, pertanto, di interesse di una collettività e non di un singolo individuo) non sia tutelato, in caso di inadempimento, dalla norma prevista dall’art. 650 c.p..

Diverso è il caso, invece, del mancato intervento a seguito di un provvedimento emesso per ragioni di sicurezza pubblica.
Nel caso in cui, per ragioni di incolumità, si ordini di transennare l’area sottoposta a pericolo e si ordini di realizzare opere di protezione degli accessi al fabbricato ed il ripristino di cornicioni e balconi, l’amministratore del condominio obbligato con provvedimento dell’Autorità risulterà responsabile del reato di cui all’art. 650 c.p., salvo il caso il cui vi abbia adempiuto precedentemente altra persona o terzi in genere.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione, annullando per motivi procedurali la sentenza emessa dall’allora Pretore, ai fini dell’accertamento della sussistenza o meno del reato in capo all’amministratore del condominio, ha disposto l’assunzione di nuova “prova diretta a dimostrare che, prima che fosse emesso il provvedimento del Sindaco, erano intervenuti i Vigili del fuoco, che avevano provveduto a transennare l’edificio e a rimuovere le parti di cornicione più pericolanti, eliminando così il pericolo per l’incolumità pubblica” (C. Cass., Sez. I, 12/5/1995, Pres. De Lillo).

L’argomento appena citato, evidentemente, offre ulteriori spunti di approfondimento, relativi però, alla sussistenza di ulteriori e più gravi responsabilità penali, nel caso in cui, purtroppo, a dette omissioni si aggiungano crolli e danni alle persone.
Rammentiamo la recente notizia della morte di una persona proprio a causa del crollo di un tratto di cornicione, fatto questo che comporterà l’instaurazione di un processo per omicidio colposo (art. 589 c.p.) e, probabilmente, rovina di edificio (art. 676 c.p.), o omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina (art. 677 c.p.).

Reati tributari

Per molti anni si sono succedute pronunce della Suprema Corte di Cassazione volte ad interpretare, ai fini penali, l’attività svolta dagli amministratori di condominio.
Nello specifico, si è cercato di comprendere se il tipo di attività ascrivibile all’amministratore di condominio fosse tra quelle che la legge italiana ritiene essere professionali ed assoggettate all’obbligo di tenuta delle scritture contabili e fiscali.
E così, nel tempo, si rilevano varie pronunce, spesso in contrasto tra di loro, della Corte di legittimità che, di volta in volta, prima assimilando l’amministratore di condomini ad un professionista (rientrante, pertanto, nelle previsioni dell’art. 13 D.P.R. 600/73), in altri casi facendo rientrare l’attività dell’amministratore tra i “rapporti di collaborazione coordinata e continuativa” (rientranti nelle previsioni di cui all’art. 49 D.P.R. 597/73), hanno creato confusione ed imbarazzo proprio nelle persone che, asservendo la propria opera alla gestione di un bene comune, non erano messi nella condizione di sapere con certezza quali fossero gli obblighi da rispettare.

Le scritture contabili e fiscali

Per quanto riguarda l’argomento in questione, è accaduto che l’obbligo di tenuta delle scritture contabili sia stato fatto discendere o dalla presenza di “una organizzazione strutturalmente preordinata allo svolgimento dell’attività da espletare” (C. Cass., sez. III penale, 16/1/1998, n. 1954; sez. III, 21/4/1998, n. 6308), o dal mero esercizio abituale dell’attività di amministrare i condomini (C. Cass., sez. III, 14/4/1998, n. 6453) senza, peraltro, ritenere necessaria la gestione o meno di una pluralità di condomini (C. Cass., sez. III, n. 6308, già citata).
Si potrà notare, inoltre, che le sentenze sopra richiamate, nonostante siano provenienti dalla medesima sezione della Corte di legittimità, variano tra di loro circa l’individuazione dei requisiti richiesti per l’assoggettabilità dell’amministratore del condominio all’obbligo di tenuta delle scritture contabili ed I.V.A.
Alle pronunce di cui sopra ha fatto seguito, poi, la sentenza n. 5056 della stessa III sezione della Corte di Cassazione emessa in data 10/3/1999 la quale riprende e supera definitivamente i concetti espressi nelle precedenti occasioni.
Nel provvedimento del 1999 si elencano una serie di condizioni al verificarsi delle quali è fatto obbligo all’amministratore di condomini di istituire e tenere le scritture contabili e fiscali.
E’, pertanto, fatto obbligo di tenuta delle scritture contabili e fiscali nel caso di attività professionale, esercitata con abitualità e retribuzione periodica e con l’approntamento di una struttura organizzata.
Di conseguenza, l’amministratore di condomini che utilizzi “una stanza ben attrezzata, munita di due scrivanie, un fax, una calcolatrice, un armadio contenente il carteggio dei vari condomini, una macchina da scrivere, un computer, una stampante, una linea telefonica e un cellulare” sarà tenuto all’istituzione e tenuta delle scritture contabili prescritte dall’art. 19 D.P.R. 600/73.

Le sanzioni penali

Nella speranza di aver contribuito a chiarire gli obblighi e la natura dell’attività svolta dagli amministratori di condominio, si deve ora delineare la casistica dei reati fiscali conseguenti a detta attività.
In primis, si deve sottolineare che, con l’emanazione del D.L.vo 74/2000, “le condotte di omessa o irregolare tenuta o conservazione delle scritture contabili, già previste come reato dall’art. 1, comma 6, L. 516/82, a seguito dell’abrogazione di tale disposizione, non assumono più, di per sé, alcun rilievo penale, non trovando esse corrispondenza in nessuna delle nuove ipotesi criminose introdotte con il medesimo D.L.vo n. 74/2000 (C. Cass., sez. unite, 13/12/2000, n. 35).
Ciò non toglie, però, che altri reati possano essere commessi anche in correlazione alla tenuta delle scritture contabili e fiscali.
Nello specifico, comunque, l’amministratore di condominio, come ogni altro professionista, può essere soggetto ai reati previsti dal D.L.vo. 74/2000 ed, incorrere, pertanto, nelle sanzioni ivi previste.
Tralasciando di specificare il noto significato di fattura e dichiarazione annuale dei redditi, si deve, di contro, sottolineare, come specificato dalla norma, che il fine di evadere le imposte è comprensivo anche del fine di conseguire indebiti rimborsi o inesistenti crediti d’imposta.
Pertanto (art. 2 D.L.vo 74/2000), risponderà del reato di “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti” (reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni), l’amministratore di condominio che, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, utilizzando fatture o altri documenti attestanti operazioni inesistenti, indica nelle dichiarazioni annuali relative a queste imposte, elementi passivi (e, pertanto, elementi di spesa) inesistenti.
Per la configurabilità del reato sarà, però, necessaria la registrazione delle fatture o dei documenti di cui sopra nelle scritture contabili obbligatorie.
La pena è, invece, da 6 mesi di reclusione a 2 anni se le spese fittizie dichiarate sono inferiori ad € 154.937,07.
Risponderà del reato di “dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici” (art. 3 D.L.vo 74/2000, reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni) l’amministratore di condominio il quale, ai fini di evasione, mediante una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie, esponga nelle dichiarazioni annuali entrate inferiori al reale o spese insussistenti impedendo l’accertamento dei valori effettivi con mezzi fraudolenti (ad esempio, incassi di somme con assegni non intestati all’effettivo prenditore).

Per questo reato, la punibilità è prevista solo nei casi in cui, congiuntamente:
a)l’imposta evasa è superiore, per taluna delle imposte previste, ad € 77.468,53;
b)l’ammontare delle entrate sottratte all’imposizione, anche in virtù dell’utilizzo di voci di spesa fittizie, è superiore al 5% dell’ammontare complessivo delle entrate realmente indicate in dichiarazione o, comunque, superiore ad € 1.549.370,70.
L’art. 4 D.L.vo 74/2000 punisce (reclusione da 1 a 3 anni), al di fuori delle previsioni delle norme precedenti, la mera “dichiarazione infedele” (ovvero entrate e/o spese non veritiere) che non trova il suo fondamento in fatture o documenti “falsi” e senza una falsa rappresentazione nelle scritture contabili.
Ovviamente, detta norma sarà applicabile anche a quegli amministratori di condominio che, non rientranti nella sfera dell’attività professionale e strutturata, non sono costretti alla tenuta delle scritture contabili.
Come per il reato di cui all’art. 3 è previsto che la punibilità sia subordinata a che, congiuntamente:
a)l’imposta evasa è superiore, per taluna delle imposte previste, ad € 103.291,38;
b)l’ammontare complessivo delle entrate sottratte al fisco, anche mediante l’indicazione di spese fittizie, è superiore al 10% delle entrate complessive dichiarate o, comunque, superiore ad € 2.065.827,60.
L’ ”omessa dichiarazione” di cui all’art. 5 D.L.vo 74/2000, punisce con la reclusione da 1 a 3 anni la condotta di chi, essendovi obbligato ed al fine di evadere le imposte, non presenti le dichiarazioni annuali.
Condizione di punibilità è che l’imposta evasa sia superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad € 77.468,53.
Altre fattispecie di reato previste dal D.L.vo 74/2000 sono l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per consentire a terzi l’evasione delle imposte (art. 8, reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni; reclusione da 6 mesi a 2 anni se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture od altri documenti è inferiore ad € 154.937,07 per periodo di imposta) nonché l’ ”occultamento o distruzione di documenti contabili” anch’essa finalizzata all’evasione delle imposte od a consentire a terzi l’evasione delle imposte in argomento (art. 10 D.L.vo 74/2000).
Sanzione penale (reclusione da 6 mesi a 4 anni) è prevista, poi, nei confronti dell’amministratore di condominio (e, come per il resto della previsioni normative suesposte, nei confronti di chiunque altro) che, per sottrarsi alla procedura di riscossione coattiva delle imposte o delle sanzioni ad esse connesse per un importo superiore ad € 51.645,69, simula la vendita dei propri beni o compie altri atti fraudolenti sugli stessi (fra i quali la distruzione od il depauperamento).

Conclusioni

Il legislatore del 2000, come anche l’attuale con riguardo al reato di falso in bilancio, ha inteso modificare strutturalmente il complesso dei reati tributari previsto fino a quell’epoca dalla L. 516/82.
Fino ad allora, infatti, la normativa in vigore era improntata alla punizione di ipotesi delittuose di mero pericolo così sanzionando condotte che non necessariamente avrebbero determinato un evento di danno.
Nello specifico, secondo la normativa previdente, sarebbe stata sufficiente ai fini della punibilità penale qualsiasi condotta formalmente antigiuridica per qualsiasi importo “evasivo” perseguito.
Il nuovo impianto normativo dei reati tributari (ed ora anche di quelli societari), immettendo soglie di punibilità da raggiungere (eccezion fatta per i reati di cui agli artt. 2 e 10 L. 74/2000) stabilisce termini e modalità tali da non consentire una facile generalizzazione delle condotte astrattamente punibili richiedendo, pertanto, un rinvio caso per caso per poter conoscere la reale rilevanza penale dell’illecito.
In linea di massima, visti gli importi previsti dalla legge quali soglie di punibilità, in molti casi, con riguardo ai normali redditi maturati da un amministratore di condominio, la condotta evasiva, al di fuori delle ipotesi previste dagli artt. 2 e 10 L. 74/2000, non raggiungerà i valori stabiliti per la punizione penale.

C. Cass., Sez. III, 10marzo 1999, n. 5056:

“Per individuare quali amministratori di condominio sono soggetti all’obbligo di tenuta delle scritture contabili, penalmente sanzionato dall’art. 1 comma 6 l. n. 516 del 1982 per come modificato dalla l. n. 154 del 1991, occorre riferirsi non tanto alla disciplina dell’I.V.A. quanto al combinato disposto degli artt. 13 d.P.R. n. 600 del 1973 e 49 d.P.R. n. 597 del 1973. Dopo la formulazione innovativa dell’art. 49 del Tuir l’amministratore di condomini non è considerato esercente una professione, e quindi non è soggetto né all’I.V.A. né all’obbligo di tenere i registri contabili, solo se non esercita altra attività professionale e amministra un determinato condominio senza impiego di mezzi organizzati”.


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