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La revisione del classamento dei fabbricati

Si tratta dell’aspetto relativo alla revisione del “classamento” dei fabbricati che, tra l’altro, si prefigge l’obiettivo di:

– assicurare una maggiore equità sul piano fiscale;
– prevenire possibili, e talora inevitabili, fenomeni di “elusione” fiscale;
– contrastare le manifestazioni di vera e propria “evasione”.

In via incidentale e solo per chiarire la portata dei termini utilizzati, ricordiamo brevemente che, per prevalente orientamento, con l’espressione “elusione fiscale” si intende l’attività del soggetto che, di fronte alla fattispecie legale imponibile, riesce ad impedirne, in tutto o in parte, il sorgere ricorrendo ad un uso mirato di istituti giuridici ovvero schemi negoziali ed operativi, con il risultato di far rientrare la relativa capacità contributiva sotto una differente configurazione giuridica tale da apportare una minimizzazione dell’onere tributario.

Per contro, nella vera e propria “evasione” si ricomprende ogni forma diretta di resistenza all’imposizione tributaria che si realizza con atti dichiarati e riconosciuti come espressamente illeciti dalla legge.
Quanto alla cosiddetta “equità fiscale”, non ritengo sia necessario svolgere particolari argomentazione giacché la sua percezione dovrebbe far parte del nostro comune sentire essendo intimamente connessa con il sacrosanto principio recato nell’art. 53 della Carta Costituzionale: il dovere solidaristico di contribuire alla spesa pubblica in ragione della propria capacità contributiva.

Chiariamo innanzitutto che cosa e perché assume rilievo il classamento.

Intanto la definizione di classamento va ricercata nel Decreto del Presidente della Repubblica 1° dicembre 1949, n. 1142 il quale, all’art. 61, precisa che esso “consiste nel riscontrare sopraluogo per ogni singola unità immobiliare la destinazione ordinaria e le caratteristiche influenti sul reddito e nel collocare l’unità stessa in quella tra le categorie e classi prestabilite per la zona censuaria … che, fatti gli opportuni confronti con le unità tipo, presenta destinazione e caratteristiche conformi od analoghe”.
Va, altresì, tenuto presente che, per il Fisco, l’individuazione degli immobili avviene per due vie o meglio per due tipologie di dati identificativi:

da un lato quelli catastali, che servono ad identificare fisicamente gli immobili nelle mappe catastali (assume, quindi, rilievo l’indicazione del Comune di ubicazione, del foglio, del mappale e del subalterno di riferimento);
dall’altro quelli censuari che servono a determinare la tipologia e la consistenza e, di conseguenza, la rendita.
In questo caso, assume valenza l’indicazione della “zona censuaria” ovverosia la porzione dei centri urbani delimitata in base ai valori di mercato; la “categoria catastale” e cioè la classificazione tipologica e di destinazione dell’immobile; la “classe di merito” ovvero la redditività dell’immobile a parità di categoria ed in ragione della dotazione di servizi, dell’ampiezza dei vani eccetera; la “consistenza complessiva” che è data dal numero dei vani per le abitazioni del gruppo A, dai metri cubi per le unità immobiliari del gruppo B e dai metri quadri di superficie per gli edifici del gruppo C.

A questo punto, è di tutta evidenza l’importanza che riveste l’appartenenza ad una classe di merito anziché ad altra di diverso livello, ragion per cui la vigente normativa impone specifico obbligo alle persone ed agli Enti interessati di denunziare, nei modi e nei termini stabiliti con apposito regolamento, le variazioni nello stato e nel possesso dei rispettivi immobili ovvero delle mutazioni che implichino variazioni nella consistenza delle singole unità immobiliari, in chiave di rafforzamento del processo di aggiornamento continuo del Catasto.
Di qui l’attenzione posta dall’Amministrazione Finanziaria nel monitorare i valori catastali attuali al fine di verificarne la loro rappresentatività fiscale e l’esigenza che il provvedimento normativo di cui ci si occupa va ad affrontare.

Il meccanismo della revisione del classamento apprestato dalla legge finanziaria si sviluppa e si realizza attraverso due distinti procedimenti:

l’uno, contenuto nel comma 335, che consente ai Comuni di richiedere la revisione su porzioni di territorio, ai sensi del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 138.
La norma, meglio applicabile alle realtà comunali che abbiano articolato il proprio territorio in più microzone, ben si adatta agli Enti di maggiore dimensione e da una più evoluta struttura organizzativa;

l’altro, disciplinato dal successivo comma 336, che innesca il procedimento per la revisione del classamento per singola unità immobiliare.
Analogamente a quanto abbiamo osservato per la precedente disposizione, questa seconda norma appare meglio utilizzabile da parte dei Comuni caratterizzati da una minore estensione territoriale.

Nel dettaglio, la disposizione recata nel citato comma 335, quella cioè relativa primo dei due procedimenti sopra schematizzati, prevede la revisione parziale dei classamenti su porzioni di territorio omogenee (c.d. microzone comunali) a seguito di specifica iniziativa del Comune, che si esplicita nei seguenti passaggi:
a)verificata la sussistenza di eventuale microzona comunale per la quale si rilevi uno scostamento tra valore catastale e valore di mercato, di immobili omogenei per destinazione funzionale, significativamente più elevato e sperequato rispetto allo scostamento medio esistente per l’insieme delle microzone comunali, l’Ente è facoltizzato a formulare al competente Ufficio provinciale dell’Agenzia del Territorio, specifica richiesta finalizzata all’eventuale revisione del classamento;
b)esaminata la richiesta pervenuta e verificata la sussistenza dei presupposti, l’Agenzia del Territorio attiva, con provvedimento del Direttore dell’Agenzia medesima, il procedimento revisionale dei classamenti, limitatamente alle microzone ritenute anomale e particolarmente sperequate;
c)per i calcoli di ordine tecnico, relativamente ai “valori” da assumere a base di riferimento, la competenza è demandata all’Agenzia del Territorio che vi provvede secondo le procedure disciplinate nel successivo comma 339.

Quanto al secondo, la procedura:

a) si fonda sulla facoltà concessa i Comuni di notificare direttamente agli interessati la richiesta di provvedere alle dichiarazioni in catasto, per le ipotesi di rilevata mancata dichiarazione dell’immobile in Catasto ovvero la sussistenza di situazioni di fatto diverse (o non più coerenti) rispetto a quanto censito nel catasto medesimo;
b) in caso di inadempienza, entro il termine di 90 giorni dalla notificazione, del soggetto interessato dalla notifica, subentra l’Agenzia del Territorio che, verificata la situazione di fatto e di diritto relativa a quell’immobile, procede al riclassamento ponendo gli oneri a carico dell’interessato.

Come norma di chiusura e soprattutto nella prospettiva di agevolare la dichiarazione spontanea di quanti avrebbero dovuto dichiarare al Catasto le intervenute variazioni sull’immobile ed, invece, non vi hanno adempiuto mantenendo quindi invariato il preesistente classamento, il comma 337 prevede una deroga alle vigenti disposizioni che fanno decorrere gli effetti di tutte le modificazioni delle rendite dalla data della notifica.
Viene, infatti, disposto che l’effetto fiscale delle nuove rendite per intervenuto nuovo classamento abbia effetto dal 1° gennaio dell’anno successivo rispetto alla data cui si riferisce la mancata presentazione della denuncia catastale indicata nella richiesta notificata dal Comune ovvero, in mancanza della suddetta indicazione, dal 1° gennaio dell’anno di notifica della richiesta del Comune.
Per contro, il successivo comma 338 prevede un inasprimento delle sanzioni per la mancata o tardive presentazione in catasto delle dichiarazioni di nuova costruzione ovvero di variazione delle unità immobiliari già censite che abbiano subito mutamento nello stato, nella consistenza o nella destinazione.



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