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Anche il cemento armato ha la sua data di scadenza


E’ la domanda ossessiva che ha generato tutto questo disquisire tecnico che va avanti da… mesi.
La riassumiamo, assieme alle risposte possibili, sotto forma di dialogo:

D.: “Senta Lei. ma casa mia, che fa parte di un edificio con telaio in cemento armato realizzato tra gli anni 50 e 60. Casa mia dico, realizzata 50 anni fa in pieno boom economico ed edilizio come peraltro la maggior parte degli edifici similari sparsi per il territorio italiano. Casa mia, insomma quanto dura?”

R.: “ Guardi: forse ne durerà altri cinquanta e passa, forse avrà problemi seri domani stesso; questo sempre che non venga un terremoto.”

D.: “Senta ma p….…!. Io vorrei sapere se stanotte devo andare a dormire ai giardini pubblici oppure potrò serenamente lasciare casa mia in eredità a mio nipote! ….Ecco, non si potrebbe essere un po’ più precisi? …Via, dica, dica! ”

R.: “ Guardi; la cosa dipende parecchio, da come è stata costruita .. poi dall’ambiente a cui è esposta ….. ecco mmhh … così … indicativamente …….. insomma chi più chi meno dovrebbe cominciare a “cioccare” tra una venticinquina d’anni”.

D.: “ Come dice Scusi?”

R.: “ Guardi; la verità è che non si sa … o meglio, non lo può sapere nessuno“

Per spiegare la risposta, evasiva, deludente ed anche inquietante bisogna fare un esempio:
Supponiamo che io sia un marziano e che me ne vada in giro per strada, a scopo di ricerca, a chiedere ai passanti, quanto dura la vita di un essere umano.
Andandosene in giro a fare domande funeste come il marinaio di Coleridge, si apprende facilmente però come in questo paese un essere umano viva mediamente 70 – 80 anni.
Di solito si muore per problemi cardiaci o tumorali, parecchi invece se ne vanno ben prima per incidente stradale.
Gli individui infine che raggiungono, ed eventualmente oltrepassano quei limiti, di solito sono degli individui robusti, con patrimonio genetico favorevole ed uno stile di vita sobrio.
Ed è una risposta buona! convincente! Molto migliore di quella appena ricevuta sulle case.
Essa si basa infatti su un mix di conoscenze mediche e risultati statistici consolidati – praticamente di dominio pubblico – di cui tutti riconoscono l’utilità, la cui base di indagine è iniziata secoli fa.
Bene: nel caso dei fabbricati in cemento armato non c’è qualcosa di così diffuso ed universale.
Esistono, è vero, molti studi condotti a livello internazionale, e di cui qui abbiamo cercato di fare un qualche sunto dello stato dell’arte.
Soprattutto esistono molti dati su un tipo speciale di “decesso” degli edifici a telaio: quello provocato dal Sisma, il terremoto insomma. Si tratta di un evento che confrontato con i casi “umani” studiati dall’ipotetico marziano di prima, può essere considerato l’analogo dell’incidente stradale (su questo rischio, infatti, è praticamente incentrata quasi tutta la tecnica moderna di progettazione del cemento armato).
Non esistono invece grande mole di dati statistici sulla “morte per vecchiaia” degli edifici con telaio di cemento; tanto meno esiste una casistica delle cause di decesso in età avanzata che possa essere considerato rappresentativo della popolazione esaminata.
E tutto questo non esiste semplicemente perché è solo da circa cinquanta anni che si è iniziato ad utilizzare il Cemento armato in modo intensivo.
Non sono insomma ancora “morte” di vecchiaia ancora abbastanza case da poter costituire un campione rappresentativo, tale cioè da guidare la ricerca successiva, da indirizzare i finanziamenti pubblici, ecc.

Per ora insomma si va a tentoni.

La cosa migliore che si può fare è analizzare come è stata costruita la casa, vedere le resistenze del cls, i diametri dei ferri, gli spessori dei copriferri, la porosità del getto ecc. e dopo una attente analisi tecnica, azzardare una previsione. Previsione che può essere anche condotta con il top della strumentazione e delle nozioni ingegneristiche disponibile, ma pur sempre non supportata da una base statistica.
E diciamo: per fortuna.

Conclusioni: Cerchiamo di non farla noi, la statistica.

Ad oggi quindi di “vecchiaia”, cioè senza una causa esterna preponderante, sono deceduti un numero ancora esiguo di palazzi.
A ben vedere si trattava poi di esemplari particolarmente disgraziati, ammalati: nati storti da costruttori insipienti, mal gettati, cemento poco e niente, ecc.
Lasciamo da parte allora questi grandi malati, questi edifici infelici. Facciamo un passo in avanti ed andiamo a parlare dei malaticci, degli individui gracilini: edifici non dotati di un “buon patrimonio genetico” e dalla vita non troppo “sobria”.
Nel nostro paese, lo si è scritto fino alla nausea, è stata realizzata una grande, enorme, massa di edifici con telaio di cemento armato circa 50 anni fa.
Esiste poi la “nozione comune”, diciamo così la “sensazione” (a parte alcune lodevoli eccezioni regionali, non esiste alcun tentativo di statistica generalizzata su questi dati) di cosa valgano parametri come: spessore copriferro, resistenza caratteristica del cls, rapporto acqua/cemento, stagionatura tipo, ecc. per gli edifici realizzati in quel momento aureo dell’edilizia italiana.
Alcune formule, raccolte in giro dalla letteratura, ci dicono che un certo K (ricordate? K è il coefficiente di …………….) finisce per assumere un valore un po’ altino, diciamo tra 6 e 10.
Insomma queste formule ci dicono che un copriferro di scarsi due centimetri fatto con un cemento così così’ è stato sorpassato dalla carbonatazione circa 20 anni fa.
La parte bassa dei pilastri, zona garage, è esposta ad un ambiente discretamente umido; i 200 mm di consumo del ferro di letteratura se non sono stati raggiunti l’anno scorso lo saranno tra una ventina d’anni.
A ben vedere ci sarebbe un luogo in cui il cemento era stato usato in modo intensivo prima della seconda guerra mondiale: gli Stati Uniti.
Peccato però che in quel paese abbiano l’abitudine di buttar giù i palazzi ben prima che il cemento dia segni di “insofferenza” in modo allarmante.
Di solito infatti, dopo 20 o 30 o al massimo 50 anni i palazzi li buttano giù e sul posto semplicemente ne costruiscono un altro più redditizio: alto il doppio, dotato dei confort che in quel momento richiede la società, il mercato e magari non più in c.a. ma interamente in struttura metallica.
Anche altri paesi sembrano seguire lo stesso esempio: tutti quelli di radice anglosassone, per esempio, ma anche molti altri paesi europei, con varie velocità, favoriscono codici di comportamento edilizio secondo il quale quando il costo di manutenzione diventa eccessivo, allora conviene buttare giù e rifare tutto… (e bisogna dire che anche il Lazio con una recente Legge sta favorendo ciò).

Tutti tranne uno!

Qual’ è il paese Europeo dove oggi si continua a vivere (usualmente dico, non in casi isolati) e senza farci troppo caso in un edificio in cui si è installato in un secondo momento l’ascensore; in un secondo momento l’impianto di risaldamento; si sono rifatti tre o quattro volte i frontalini e le facciate, sfondato cinque o sei volte il vano scale per far passare cavi elettrici antenne etc.?

Qual’ è del resto il paese con il più grande patrimonio storico, artistico, monumentale ed archeologico del modo?

La domanda allora è: Quanto dura questo malatino? E soprattutto: quanti ce ne sono?
Risposta alla quale non è né facile né possibile rispondere, almeno non genericamente da queste pagine.

Solo una considerazione vorremmo fare a conclusione di questo discorso. Cerchiamo di non farla noi la statistica significativa ad uso di altri paesi.


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