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Storia del travertino


IL TRAVERTINO NELL’ANTICA ROMA

Fino al II sec. A.C. a Roma gli edifici pubblici e privati erano stati costruiti facendo ricorso esclusivamente all’utilizzo delle pietre locali, come il tufo, il peperino e il travertino, solo successivamente alle guerre di conquista si cominciò ad importare marmi bianchi e colorati dalle cave ubicate nel bacino del Mediterraneo; del resto lo sfruttamento del più economico, in quanto più vicino, marmo di Carrara iniziò a partire solamente dall’età cesarea.

Il Lapis Tiburtinus (travertino) estratto prevalentemente dalla cava del Barco a Tivoli, all’inizio veniva usato esclusivamente con funzioni strutturali (fondazioni, muri di spinta, supporto per successive rifiniture, …), successivamente cominciò ad essere impiegato anche con funzioni estetiche oltre che strutturali, grazie alle sue ottime caratteristiche: quali la facilità di lavorazione, la resistenza agli agenti atmosferici, le caratteristiche tecniche e cromatiche, comunque poteva essere impiegato come espediente più economico, infatti, ricoperto da uno strato di stucco, raggiungeva un effetto visivo simile a quello del marmo.

A dispetto del marmo di Carrara il travertino romano si prestava maggiormente a rappresentare l’impero più esteso d’occidente: forse non era il materiale più adatto alla scultura ellenica a causa della sua grana robusta, ma è proprio questa caratteristica che lo ha reso il materiale principe di una società forte e vigorosa. Fu proprio grazie al travertino romano, che meglio si adattava alle forme arcuate,  che l’architettura romana cominciò a prendere il sopravvento su quella ellenica.
Sotto l’imperatore Augusto il travertino romano comincia ad essere considerato un materiale “nobile”, come conseguenza di quel ritorno alla semplicità delle origini, voluto dalla moralità augustea, e fu utilizzato come protagonista delle architetture più significative e rappresentative della società: nel Teatro Marcello (13 a.C. – 11 a.C.), nella porta urbana dell’Esquilino. Ciò che il travertino doveva ancora conquistare erano i templi per i quali veniva ancora utilizzato il marmo. Ma non molto tempo dopo l’era augustea il lapis tiburtinus fu impiegato anche per questa finalità: è chiaro che venne modificata la tecnica e la concezione dell’architettura; là dove prima la colonna veniva concepita con il massimo candore e le scanalature venivano eseguite con estrema precisione, ora la percezione dell’oggetto era globale e quindi, proprio per adattarsi alla grana del travertino, venivano eliminate le scanalature e il fusto della colonna diveniva tornitoe la lavorazione quasi incompleta.

IL TRAVERTINO NEL MEDIOEVO E NELL’UMANESIMO
A causa del crescente sfarzo dell’architettura e della volontà della Chiesa di smaterializzare le forme e alleggerire la struttura, l’impiego del travertino venne accantonato. Fu nel Medioevo, a causa dell’ormai pratica comune del riuso dei materiali già impiegati nell’edilizia, che le cave di travertino caddero letteralmente in disuso, in quanto per molti anni fino all’Umanesimo moltissime delle architetture più importanti vennero letteralmente saccheggiate del travertino, che veniva impiegato come materiale principe della calce da utilizzare per edificare nuove costruzioni. Alcuni fra gli esempi più importanti sono il Colosseo, il più celebre monumento romano, rivestito in travertino, che porta ancora i segni di questa devastazione e la Basilica Giulia che nel 1426 vide assegnato dalla Camera Apostolica metà del proprio travertino ad un gruppo di calciaioli mentre l’altra metà se la riservò la stessa Camera.

Ma, finalmente, nel 1450 prese il sopravvento la volontà dei pontefici di tornare alla gloria dell’antica Roma per mezzo dell’edificazione di nuovi monumenti: per far questo era naturalmente indispensabile un ritorno all’impiego del travertino romano tanto apprezzato nel “De re aedificatoria” da Leon Battista Alberti.
Fu nel 1464, con la nomina a papa di Paolo II Bardo, che questa nuova inversione di marcia nei confronti del travertino fu definitivamente consolidata grazie all’edificazione di un viridarium, di un hortus conclusus, di Palazzetto Venezia e dell’ampliamento e rinnovamento della sede cardinalizia presso la Chiesa di San Marco: tutte costruzioni, queste, che previdero l’impiego del travertino.
Sotto Sisto IV (1471 – 84) Roma divenne una città praticamente di travertino, sostanzialmente monocromatica. Esempio mirabile di questa epoca è Santa Maria del Popolo. Interminabile è la lista delle opere architettoniche con l’utilizzo del travertino edificate a Roma da questo periodo, basta fare una passeggiata per la città per valutarne l’entità.

IL TRAVERTINO NEL RINASCIMENTO E NEL BAROCCO
Fu fra il XV e il XVI sec. con l’arrivo a Roma del Bramante che l’impiego del travertino raggiunse il suo apice sia quantitativamente che qualitativamente. Addirittura vennero riattivate l’antica cava del Barco, quella delle Caprine e quella delle Fosse per l’estrazione dell’enorme quantità di materiale richiesta dal cantiere della Chiesa di San Pietro. Tali cave furono sfruttate a tal punto che il papa Leone X si sentì in obbligo di indennizzare la città di Tivoli per l’enorme scavo effettuato nel suo territorio. Molteplici sono gli splendori architettonici di questa epoca come San Carlino alle Quattro Fontane di Borromini, la facciata della chiesa dei Santi Luca e Martina e piazza del Popolo.
Tuttavia l’elevato costo di estrazione e trasporto del travertino indusse gli architetti a volgere l’attenzione verso altri materiali come i mattoni impiegati a vista. Addirittura lo stesso Bramante perfezionò una tecnica atta alla simulazione del lapis tiburtinus attraverso l’impiego di malta, intonaco e stucco.

marmo-travertino

Comunque fra il Cinquecento e il Seicento l’impiego del travertino, almeno là dove era economicamente consentito, era prediletto: venne preferito da Bernini che ne fece un utilizzo naturalistico nelle fontane di Piazza Navona, anche Pietro da Cortona e Borromini lo impiegarono nelle costruzioni da loro progettate. Nel settecento poi venne impiegato nella fontana di Trevi.
Durante il neoclassicismo, invece, il travertino subì nuovamente un declassamento poiché venne criticato da molti, fra questi basta ricordare Stendhal secondo il quale Roma sarebbe stata più bella se si fosse impiegata al posto di “una pietra con buchi” il marmo di Pola o la pietra usata a Lione e ad Edimburgo.

Quando, nel 1870, Roma venne proclamata capitale d’Italia si riaccese l’amore per il travertino, in quanto lo spirito patriottico fece emergere il desiderio di lavorare la pietra locale, e vennero edificate altre opere architettoniche esemplari come il Palazzo di Giustizia (meglio conosciuto come Palazzaccio) e l’esedra di Piazza della Repubblica.
A proposito di Stendhal, secondo alcuni il Vittoriano sarebbe stato più bello se fosse stato realizzato in travertino romano anziché in botticino di Brescia.


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