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Il Catullo che non vi hanno mai letto


La traduzione di cui mi avvalgo è particolare. Non è la versione che passa nelle università o nei manuali scolastici. E’ opera di Guido Ceronetti, “poeta, filosofo, scrittore, giornalista, traduttore, drammaturgo, teatrante e marionettista italiano.” (dice Wikipedia).
[Catullo (a cura di Guido Ceronetti), Le poesie, Einaudi, Torino 1983 – la terza edizione riveduta e corretta di cui dispongo, la prima edizione era già del 1969]

catullo

E’ una versione audace, scopriremo presto.
Ma le parole scelte dal traduttore sembrano le meno posticce e le più adatte a rendere il senso delle parole catulliane, e potremmo leggerla tranquillamente come se fosse una versione letterale.

Che come tale sfugge ai pudori tipici delle versioni d'”accademia”, filistee e di maniera, spesso del tutto prive del senso reale e verace dei versi di Catullo.

Naturalmente ogni versione potrebbe essere discussa, da qui l’obbligo del testo a fronte. Dove troverete spesso conferma della “precisione quasi maniacale” con la quale Ceronetti riesce a raccontarci un autore del tutto nuovo, sicuramente diverso da quello che ci hanno spacciato a scuola.

LVII

Pulcre convenit improbis cinaedis,
Mamurrae pathicoque Caesarique.
Nec mirum: maculae pares utrisque,
urbana altera et illa Formiana,
impressae resident nec eluentur:
morbosi pariter, gemelli utrique,
uno in lecticulo erudituli ambo,
non hic quam ille magis vorax adulter,
rivales socii puellarum.
Pulcre convenit improbis cinaedis.

“Una coppia perfetta di spudorati cani
Mamurra il Culattone e Giulio Cesare.
Non è strano, perchè:
una uguale luridità li fa lerci
per il primo di origine formiana,
per il secondo romana.
La malattia fraterna che li assimila
gli è stampata indelebile sul viso.
Sullo stesso divanoletto uniti
tuttedue presi di letteratura
sempre famelici del loro coito
superiori alle donne perfino
nelle libidini femminili.
Una coppia perfetta di spudorati cani.”

CVIII

Si, Comini, populi arbitrio tua cana senectus
spurcata impuris moribus intereat,
non equidem dubito quin primum inimica bonorum
lingua execta avido sit data vulturio,
effossos oculos voret atro gutturre corvus,
intestina canes, cetera membra lupi.

“Cominio se una giuria popolare
ai tuoi capelli bianchi
sporchi di vita sporca
dovesse una giusta morte prescrivere,
in primo uogo ti taglierebbero
quella tua lingua appestata
per darla a un avvoltoio affamato,
poi gli occhi ti caverebbero
e un nero corvo li divorerebbe.
I cani avrebbero i tuoi intestini,
i lupi la tua carcassa.”

LXXXVIII

Quid facis is, Gelli, qui cum matre atque sorore
prurit et abiectis pervigilat tunicis?
Quid facit is, patruum qui non sinit esse maritum?
Ecquid scis quantum suscipiat sceleris?
Suscipit, o Gelli, quantum non ultima Tethys
nec genitor Nympharum abluit Oceanus:
nam nihil est quicquam sceleris quo prodeat ultra,
non si demisso se ipse voret capite.

“Uno che con sua madre e sua sorella
passi le notti si denudi le stupri
Gellio che nome avrà?
Uno che dei diritti maritali
lo zio derubi che nome dargli?
Senti tu la grandezza del suo crimine?
E’ tanta che sporcherebbe
Teti anello del mondo
e Oceano che ninfe genera.
Tu superi l’immagine incestuosa
di un succhiatore del proprio cazzo,
la testa tra i suoi inguini sepolta.”

XCVII

Non (ita me di ament) quicquam referre putavi,
utrumne os an culum olfacerem Aemilio.
Nilo mundius hoc, niloque immundius, illud,
verum etiam culus mundior et melior:
nam sine dentibus est: os dentis sesquipedalis,
gingivas vero ploxeni habet veteris,
praeterea rictum qualem diffissus in aestu
meientis mulae cunnus habere solet.
Hic futuit multas et se facit esse venustum,
et non pristino traditur atque asino?
Quem siqua attingit, non illam posse putemus
aegroti culum lingere carnificis?

“Della bocca di Emilio l’odore
o del culo aspirare trovo uguale.
Non è pulita più del culo la sua bocca
non è più sporco della bocca il suo culo:
anzi direi che il culo
– privo di denti – è più decoroso.
La bocca ha zanne mostruose
gengive come decrepite
carrozzerie. Spalancata
sembra la fica di una mula
slabbrata dal caldo, quando piscia.
Chiava forte il brav’uomo ed è contento:
alla màcina, alla guardia dell’asino!
E alle donne che chiavano con lui
quale castigo dare?
Fargli leccare il culo
di un boia emorroidario.”

XVI

Pedicabo ego vos et irrumabo,
Aureli pathice et cinaede Furi,
qui me ex versiculis meis putastis,
quod sunt molliculi, parum pudicum.
Nam castum esse decet pium poetam
ipsum, versiculos nihil necessest,
qui tum denique habent salem ac leporem,
si sunt molliculi ac parum pudici
et quod pruriat incitare possunt,
non dico pueris, sed his pilosis
qui duros nequeunt movere lumbos.
Vos, quei milia ulta basiorum
legistis, male me marem putatis?
Pedicabo ego vos et irrumabo.

“Ah da me, in culo, in bocca
lo piglierete!
Tu Aurelio, boccadacazzi,
e tu Furio, rottonelculo….
Che della vostra banda mi credete
perchè scrivo lascivo, decadente!
Il poeta in cui viva è la pietà
avrà anche l’obbligo di verseggiare.
Per scopi edificanti?
Lasciagli grazia e mordacità;
e il suo verso lascivo e spudorato
non dagli implumi solo, ma dai lombi
dei canuti ormai stalattiti
faccia sprizzare l’Eros!
Di tenero in eccesso il fluire
nei versi miei farebbe
meno virile l’autore?
Lo dite voi! Sarete
da me inculimboccati!”


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