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Inflazione ora come allora


Se non dicessi che si tratta della terza satira di Giovenale, poeta latino vissuto nel II sec. dopo Cristo, forse il seguente scritto potreste scambiarlo per lo sfogo di un cittadino qualsiasi dei giorni nostri:
“A Roma non c’è che da aver paura. Ogni santo giorno succede di tutto, dagli incendi ai crolli di case e palazzi. C’è posto soltanto per malviventi, falsari e palazzinari corrotti. Dura è la vita per chi non è un furfante o un assassino. Si perdono persino gli amici se non si è di questo stampo. Meglio andarsene via, fuggire, per non avere più attorno, finalmente, quella marea di Greci (che sarebbero gli extra-comunitari di allora) che ormai infestano la città. Sono piovuti a Roma da ogni contrada dell’Oriente, vogliono fare tutti i mestieri a scapito nostro, che a volte non sappiamo nemmeno come campare. E se entrano nelle simpatie di qualche potente se lo accaparrano tutto per loro. Sono di una sfrontatezza inaudita, sanno come arruffianarsi il prossimo, non c’è ostacolo che li possa fermare. Non hanno valori morali, nessun senso del sacro, eccellono infine nell’arte di denunciare qualcuno per ingraziarsi qualcun altro che conta”.

Come sempre quando le cose vanno male, i prezzi aumentano e l’inflazione galoppa, allora ce la prendiamo con gli immigrati; ma dopo un primo sfogo, Giovenale si accorge d’aver esagerato e rettifica dicendo:
” E poi non è neanche colpa soltanto dei Greci: a Roma la concorrenza tra individuo e individuo è spietata, la vita è sempre più grama per chi non ha denaro e non è capace di arrangiarsi in modo disonesto. C’è da chiedersi dove è finita l’onestà, ha importanza solo il denaro: l’unica cosa che ti chiedono è se hai i soldi e quanti ne hai. Chi non ne ha non ottiene nemmeno credito, e persino a teatro devi cedere il posto al figlio di un ruffiano o di un gladiatore, perché ha una barca di soldi. Non fai nemmeno carriera politica, perché la politica richiede denaro, e fai fatica a vivere per il continuo rincarare dei prezzi. In provincia è rimasto almeno un po’ dell’antica semplicità, una vita a misura d’uomo; a Roma no, qui si spende sempre di più di quanto si guadagna, tutto ha un prezzo troppo alto. In provincia non devi tremare al pensiero che ti crolli la casa sulla testa; a Roma è cosa di tutti i giorni, e rischi anche di finire arrostito in uno dei soliti incendi”.

Il brano si commenta da solo, la concorrenza tra individui era spietata al punto da generare un tale stress (non è solo appannaggio dell’epoca moderna) da sognare di andare in provincia per vivere una vita a misura d’uomo. Fantasticheria comune a tanta gente dei tempi nostri, che desidera fuggire per evitare il nervosismo procurato dalla vita metropolitana e per risolvere il problema dell’abitazione, più costosa in città, rispetto che nei paesi. Giovenale si addolora per il fatto che ha importanza solo il denaro e se la cavano solamente coloro che hanno i soldi, i disonesti, i ruffiani e i gladiatori (che potremmo paragonare ai moderni calciatori) che guadagnano una barca di soldi. Purtroppo non molto è cambiato in duemila anni!

E ancora:
“La pochezza dei mezzi è un grosso impaccio, anche se si ha talento per sfondare: ma per riuscirci a Roma, lo sforzo che ci vuole è sovrumano. Un miserabile alloggio lo strapaghi. Riempire il ventre di uno schiavo costa caro. La cena più spartana ti dissangua (…). Da noi l’Abito è tutto. Per procurarsi un abito magnifico, un abito al di là del proprio limite, si mette mano alla borsa d’altri. E’ un male comune ormai: tutti viviamo da straccioni gonfi di arie. Ma perché farla lunga? Pagando, solo pagando a Roma si fa tutto”.
Ci ritroviamo sicuramente in questa lotta giornaliera per l’apparire, l’Abito ha tutt’ora il suo valore e così la macchina, la casa e via dicendo tutta la scala dei beni di consumo che assegnano uno status all’individuo che li possiede. Perfino mettere mano alla borsa altrui è ancora di moda, con i debiti cambiamenti legati ai nostri tempi, oggigiorno abbiamo le “rate”, tutto si fa a rate, la voglia di possedere ci spinge ad acquistare anche se non possiamo permettercelo, intanto si compera e poi ci si pensa; l’importante è mostrarsi.

Anche allora la vita era dura per quei cittadini romani che a furia di andare in guerra avevano perso la terra e si erano rifugiati a Roma accontentandosi di fare qualsiasi lavoro. Le famiglie avevano pochi figli e le donne dovevano contribuire con il loro lavoro per sopravvivere e pagare l’affitto nelle case popolari, dove non c’era acqua e gli incendi erano all’ordine del giorno. I prezzi nell’Urbe erano più cari che nelle province, ragion per cui, per aiutare i poveri ed evitare insurrezioni, gli imperatori ricorrevano ogni tanto alle distribuzioni gratuite di grano. Anche allora, quando la leva militare diventò un lavoro, ci fu chi tentò di risolvere i problemi economici arruolandosi, ma ovviamente la paga di un semplice legionario era ben diversa da quella di un ufficiale.
Erano le spese, o meglio gli sprechi imperiali, oggi diremmo le uscite di rappresentanza e burocratiche, ma soprattutto i dispendi militari che provocarono la svalutazione e l’inflazione, con la conseguente scomparsa delle monete di metallo pregiato. Si cercò di rimediare aumentando la produzione d’oro e imponendo, sotto l’imperatore Diocleziano, la calmierizzazione (che ci ricorda il blocco dei prezzi invocato, da tanti, di fronte agli aumenti seguenti al passaggio dalla Lira all’Euro), purtroppo fu tutto inutile, le monete persero valore, conservando solo quello nominale.

I corsi e ricorsi della Storia sono continui, lo sforzo di un’Europa ad unirsi  e battere un’unica moneta, ci ricorda la difficoltà dell’Impero Romano a tenere unito un vasto territorio con gente di diversa razza, lingua e religione. Allora saldare popoli diversi ha comportato un grande sforzo economico, che è stato possibile fin tanto che è esistito lo scambio produttivo; nel senso che Roma occupando nuove terre prendeva materia prima e schiavi, ma dava in compenso strutture e tranquillità alla gente all’interno del proprio impero. Tutto ha cominciato a vacillare per colpa delle cospicue spese militari, subentrate per difendere i confini; tali uscite succhiavano linfa vitale, fino allora usata per lo sviluppo dell’impero. Le guerre d’espansione, che fino ai primi secoli d.C. avevano portato soltanto che benessere, si erano trasformate in guerre di mantenimento della supremazia, che richiedevano un‘ingente quantità di denaro per sostentare il grande esercito. La guerra, insomma, anche se è vergognoso asserirlo, porta benessere per il vincitore, quindi se si fa, deve essere produttiva.

Tornando ai nostri giorni, visto che la storia insegna ( è considerata magister vitae), in un mondo globale, in cui si dice che “il batter di ali delle farfalle da una parte del mondo provoca dall’altra un uragano”, le spese militari, senza ritorno economico, provocano contraccolpi che si trasformano in svalutazione ed inflazione, in un’Europa ancora fragile, che sta lavorando per la sua unità.
Ma questi sono discorsi difficili che è meglio lasciar fare agli economisti, noi volevamo offrire un parallelo con il passato a chi è stressato e non si accontenta neanche della provincia, ma sogna “l’isola che non c’è”, a chi si sente superato da uno con i soldi che osteggia ricchezza o da un ruffiano che ci soffia il dovuto, a chi vorrebbe essere un divo dello spettacolo o dello sport per essere famoso e straguadagnare, a chi è convinto che pagando, solo pagando a Roma si fa tutto!

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