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La tenuta di Roccarespampani


La tenuta di Roccarespampani prende il nome dalla Rocca Medioevale situata all’estremo confine meridionale, alla confluenza del torrente Catenaccio con il fiume Traponzo. Il paesaggio che si presenta agli occhi del turista è abbastanza vario; il territorio in esame è costituito da uno stupendo altopiano interrotto da numerose incisioni più o meno profonde; i boschi, che originariamente ricoprivano pressoché l’intera superficie della tenuta, sono per lo più destinati al taglio periodico e si compongono di varie essenze forestali, tra le quali emergono il Cerro (90%) e la Rovere (5%), seguite dall’Olmo, l’Ornello, la Robinia e tutte le altre tipiche varietà della macchia mediterranea. Questi boschi, utilizzati per l’allevamento del bestiame brado, s’intercalano ai seminativi, formando larghi pascoli di rara bellezza. L’altopiano è intersecato da vallette, spalle, falsipiani, inciso a ventaglio da cinque corsi d’acqua principali e relativi affluenti, che vanno tutti a confluire nel Traponzo e tramite questo nel Marta, emissario del lago di Bolsena.

Questo altopiano continua verso oriente e verso il mare con le selvagge foreste della Banditella, attualmente Poligono Militare e un tempo parte integrante della Tenuta di Roccarespampani. Questo vasto territorio di 2598.70.08 ha, nel 1456 era possedimento del Pio Istituto di S.Spirito ed OO.RR. di Roma, poi passato, in proprietà al Comune di Monte Romano, che, dal 1/10/1980, gestisce a conduzione diretta l’Azienda Agricola che si trova al proprio interno, avviando un ampio progetto di sviluppo che ha portato al potenziamento e alla trasformazione delle strutture presenti, al fine d’incrementare economicamente le produzioni agricole e quelle basate sull’allevamento bovino ed equino maremmano, che sono il vero vanto dell’azienda.
Il nome del maniero deriva da quello di una precedente rocca, la Rocca Vecchia, eretta a poca distanza da questo sito.

Come si apprende da una targa posta sulle pareti del castello, la sua costruzione fu avviata, nel 1607, da Ottavio Tassoni d’Este, Precettore del Santo Spirito, che  aveva commissionato tali lavori  all’architetto Canio (o Ascanio) Antonietti. L’idea iniziale era ambiziosa: un palazzo/fattoria, abbastanza dignitoso per ospitare il governatore e il suo seguito di  funzionari, ma in grado anche di accogliere le famiglie contadine qui operanti; un nucleo che, quindi, doveva mantenere una propria autonomia.
Negli anni successivi il castello verrà tenuto, con maggiore autorità, da un nuovo castellano, fra Cirillo Zabaldani, che uno storico locale del XIX secolo (Campanari), descrive «uomo insolente e di mala condizione e misleale […] spergiuro e traditore»; si racconta che fu lui a munire la Rocca Nuova con «gagliarde fortificazioni e spingarde gettate in ferro […]»; questo antico fucile da posa, che secondo lo storico doveva essere ancora presente all’interno del fortilizio nel 1854, era però a quel tempo «monco della sua culatta, che tagliata da quello strumento da guerra passò a fare  ufficio di mortaro ne’ dì di festa».

Ben presto, la storia dell’edificazione del castello si intreccerà  con quella del nascente paese di Monte Romano: fra Cirillo Zabaldani, ne farà sospendere i lavori per dedicarsi maggiormente alla costruzione della Chiesa dell’Addolorata sita nel piccolo borgo. Avanzava seri dubbi sulla validità del progetto, voluto dalla Chiesa Romana, di avviare una riorganizzazione agricola del territorio tutta incentrata sul nuovo castello che  ormai risultava tagliato fuori dalle  importanti vie di traffico, e ad esso veniva favorito quel  piccolo nucleo urbano che nel frattempo stava nascendo nel sito dell’attuale Monte Romano; qui, inoltre, c’era l’osteria, c’erano i campi di lavoro; qui la gente lavorava e viveva, e non aveva alcun motivo di spostarsi a Respampani. Così, venute meno le motivazioni che avevano sostenuto l’edificazione del maniero, i lavori vennero interrotti a  metà del XVII secolo, lasciando l’immobile in quello stato incompleto che ancora oggi conserva.

ROCCA VECCHIA

Nonostante manchi uno studio completo sull’insediamento, si può osservare che questo sorse su un impianto antico, forse etrusco o romano – come denuncerebbero le strutture preesistenti in tufo su cui poggia – e accanto ad una Pieve antica, che, oggi fuori dalle mura, si erge su una pianta rettangolare, di cui restano alcuni lacerti del muro perimetrale e della calotta absidale; su questa sono presenti tracce di colore che testimonierebbero la presenza di antichi affreschi ormai perduti. Difficile è arrivare ad una datazione precisa dell’edificio, mai ricordato dai documenti, che tuttavia potrebbe risalire al periodo paleocristiano, tenendo conto che la tecnica costruttiva dell’abside si avvicina molto a quella degli edifici di culto medio-orientali del VI secolo d.C.

L’insediamento presenta un andamento a «schema focalizzato», una delle forme più antiche di organizzazione del territorio, che corrisponde generalmente ad insediamenti di forma piramidale disposti intorno ad un fulcro, che qui è rappresentato dalla Rocca; è intorno a questa che verranno costruiti altri edifici, alcuni dei quali possono essere ancora oggi apprezzati all’interno del circuito murario, come ad esempio la Chiesa di San Giovanni, di cui rimane un arco a sesto acuto, parte dei muri perimetrali e la fronte del campanile, con la cella campanaria delineata da una cornice aggettante e illuminata da monofore accoppiate. La costruzione rientra tipologicamente tra quelle con scansione interna ad arconi di origine cluniacense, diffusa in Italia dagli Ordini Mendicanti, e riproposta in numerosi edifici religiosi presenti sul territorio di Tuscania, come nelle chiese dirute di S. Pantaleo e San Potente poste lungo il percorso della Clodia, e in San Silvestro (XII-XIV secolo).

Tuttora rimangono delle testimonianze più o meno conservate dell’antico abitato, quali delle strutture a forma di fiasco con imboccatura quadrata o circolare scavate nel tufo ed internamente intonacate, identificabili come pozzi o cisterne, e granai, e un forno con copertura a cupola, rivestita da mattoncini, collocato vicino a quella che doveva essere un’abitazione.

Cenni storici sulla Rocca vecchia
Le più antiche notizie che riguardano questo insediamento risalgono all’XI secolo quando nel Regesto di Farfa si fa riferimento al nome della famiglia proprietaria dell’area, gli Spampani di Tuscania. Nel 1170 rientra nei possedimenti di Guitto di Offreduccio, signore di Vetralla, che in quell’anno lo donò alla città di Viterbo. Più tardi verrà ceduta ai due nobili di Tolfa, Guido e Nicola, contro i quali, nel 1198, si scaglia papa Innocenzo III (1198-1216) con l’intenzione di togliere loro il castello, dato lo scorretto comportamento che questi tennero nei confronti dei pellegrini che transitavano lungo la via Clodia diretti a Roma. Per non perdere la rocca Guido e Nicola fecero pieno atto di sottomissione al pontefice e la fortezza rimase ancora nelle loro mani fino al 1211 quando,  in occasione della guerra tra Tolfa e Viterbo, Grezzo signore di Tolfa, si rifugia entro le sue mura con i figli ed i parenti di Pietro, figlio del sopraccitato Nicola e se ne impossessa. In seguito la Rocca Respampani viene implicata nelle lotte tra i Cocco ed i Gatti, due famiglie di Viterbo che causeranno lutti e distruzioni nel corso del Duecento in molte zone della Tuscia. Il castello viene conquistato nel 1221 da Nicola Cocco per punire Pietro Cola, allora Signore della Rocca, che appoggiava apertamente la fazione dei Gatti. Pietro venne fatto prigioniero e gettato in un pozzo situato dentro le mura.
L’anno dopo i Gatti assediarono a loro volta la Rocca; ma i Cocco, aiutati dal Senato Romano, li costrinsero ad allontanarsi. Poco dopo il castello ritorna nelle mani di Pietro Cola che, nel frattempo, si era rifugiato nella vicina Tuscania. Questi lo perse definitivamente nel 1228, quando i Romani riconquistarono il sito.

Nel 1234 papa Gregorio IX (1227-1241) e Federico II, allora alleati, tentarono invano di strappare ai Romani la roccaforte.
Nel 1254 Respampani entra a far parte dei possedimenti dei Prefetti di Roma, i Di Vico, ai quali inutilmente, per circa un secolo, sia l’autorità pontificia che il Comune di Roma tentarono di sottrargliela. In proposito si ricordi come ancora nel 1374 Cola di Rienzo chiese la restituzione del Castello a Giovanni Di Vico, che saldamente lo deteneva nonostante la sconfitta subita nel 1345 ad opera di Pietro Farnese.

Nel 1377 papa Gregorio XI (1371-1378) verrà designato quale arbitro nella annosa contesa tra i Di Vico ed il Senato Romano per il possesso di Rocca Respampani, di Civitavecchia e di altri castelli della Tuscia.
La perdita della roccaforte da parte dei Di Vico coincise con il tramonto del loro potere, tenacemente perseguito da papa Eugenio IV (1431-1447). Così nel 1434 il castello viene concesso, unitamente alla carica prefettizia, a Francesco Sforza per passare nel 1442 al cardinale Ludovico Scarampi Mezzarota.
Fu venduto nel 1456 da papa Callisto III (1455- 1458) all’Ospedale di Santo Spirito in Saxia; ritorna ben presto alla Camera Apostolica rimanendovi fino a quando nel 1471 entrò definitivamente in possesso al Santo Spirito per volere di papa Sisto IV (1471-1484).

Il susseguirsi delle guerre portò alla progressiva decadenza della Rocca Respampani accentuata, probabilmente, anche dal terremoto del 1349 e dall’imperversare della malaria. Nel 1356 si verifica il crollo della chiesa del castello, già danneggiata dalle distruzioni del 1345. Non deve pertanto stupire se il castello a quel tempo viene definito «dirutum» dalle fonti.
Il declino fisico del maniero, ormai quasi spopolato, continua, tanto che nel 1587 Giovan Battista Ruini, preposto generale dell’Ospedale di Santo Spirito, vi realizza alcuni restauri. In questo periodo il castello era sorvegliato da un castellano e da due persone che sovrintendevano le attività agricole e di allevamento del bestiame, specie suini. La tenuta produceva soprattutto grano e legname, ma vi era anche una ottima vigna. Dalle fonti sappiamo che dal bosco forte e selvaggio di Respampani, più di 30 mila tronchi di antiche querce servirono per la strada ferrata da Napoli a Roma costruita sotto il pontificato di Pio IX. Ma nonostante la produttività  della tenuta, la sorte del castello era segnata; agli inizi del Seicento si dà inizio alla costruzione di un nuovo castello, la Rocca Nuova.

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