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Albano ovvero Alba Longa


Diciamocelo sinceramente, noi Romani ci rechiamo ad Albano solamente di passaggio, magari per andare a mangiare la porchetta nelle fraschette di Ariccia e perfino quando l’afa ci fa scappare da Roma preferiamo andare a prendere il fresco a Frascati, piuttosto che nella vasta e verdeggiante villa comunale di Albano. Non la pensavano così tutti quei ricchi patrizi romani che qui scelsero di costruire le loro grandiose ville: la facilità di collegamento con Roma, l’aria fresca e la vista del bagliore del mare all’orizzonte, dominato dall’altura, rendeva il posto, seppur scosceso, unico ed invitante per sbizzarrirsi nella costruzione di edifici a gradoni. Anche nell’ultimo trentennio c’è stata una nuova ondata di Romani, che hanno lasciato l’urbe, per popolare di ville la campagna circostante il paese,  per venire a vivere in un luogo che in quanto a storia supera in vetustità la stessa Roma.

Narra, infatti, la leggenda che Albano (Alba Longa) fosse stata fondata addirittura da Ascanio, figlio di Enea, alla fine della loro fuga da Troia. La sede originaria era alle spalle dell’attuale cittadina, sul ciglio del lago di Albano, sotto il monte omonimo, oggi chiamato Monte Cavo, luogo in cui tutte le città latine celebravano ogni anno le Feriae Latinae, nel santuario dedicato a Giove, padre degli dei. Gli anni passarono fino a che un certo Amulio, re di Alba, tolse il regno al fratello Numintore, costringendo la nipote Rea Silvia a farsi vestale. La leggenda è nota a tutti, da lei nacquero i gemelli Romolo e Remo che riposero sul trono Numintore, quindi fondarono nel 753 a.C. la città di Roma conservando rapporti amichevoli con la patria di origine, fino a che la furia espansionistica romana, ha spazzato via per mano del re Tullio Ostilio la città (a nulla valse il mitico duello tra gli Orazi e Curiazi), tanto che  ben poco è rimasto di questo antico nucleo. Era la potenza di questa cittadina, alleata a quelle circostanti, ad infastidire Roma, non per niente l’attuale stemma municipale di Albano rappresenta la bianca scrofa (Alba), che allatta trenta porcellini (le trenta città della lega latina), infatti fu sede del famoso centro politico-religioso il Lucus Ferentinae, luogo sacro (attuale Valle Pozzo) dove si riuniva la Lega Latina.

Spazzata via Alba, la zona, favorita dalla via Appia lungo la quale sorgevano sepolcri ancora visibili ai lati della strada, diventò per le incomparabili bellezze naturali luogo prescelto per le ville di personaggi illustri, fino a che nel 202 d.C. l’imperatore Settimio Severo decise di costruire qui il grandioso accampamento della II legione Partica, soldati a lui fedeli e per la prima volta stanziati vicini a Roma. Neanche riusciamo ad immaginare il fermento dei lavori edili: i castra erano fortificati da un possente muro di cinta, per una superficie di oltre 10 ettari, i cui resti murari sono sparsi qua e là per la cittadina di Albano, testimonianze del passato inglobate in costruzioni civili o in chiese, che meritano d’essere conosciute.

L’accampamento poteva addirittura ospitare circa seimila soldati, che si costruirono da soli i principali resti monumentali che oggi ammiriamo, infatti erano i tempi in cui gli uomini d’armi quando non facevano la guerra non stavano senza far niente, ma venivano occupati in opere architettoniche, così costruirono case, strade, ben due terme, l’enorme cisterna per l’approvvigionamento idrico e perfino l’anfiteatro per il proprio e l’altrui divertimento, in quanto attorno alle mura dell’accampamento si sviluppò un abitato, rappresentato dalle famiglie dei militari, per cui presero piede i commerci, e le strutture pubbliche dei legionari come le terme e l’anfiteatro divennero punti di richiamo anche per le piccole città circostanti. Ben presto, alla metà del III secolo i legionari abbandonarono l’accampamento, tuttavia il nucleo abitato, sorto con la legione, esisteva con tutte le sue infrastrutture e si trasformò in città, era l’epoca in cui dilagava il Cristianesimo, ed Albano forte dell’antica tradizione religiosa ebbe con Costantino la sua Basilica, chiese e catacombe, e la gente si strinse intorno al vescovo. Nel medioevo subentrò la signoria dei Savelli. Successivamente nell’epoca del grand tour non mancarono turisti e studiosi, e non deve meravigliare se ancora oggi è visitata da viaggiatori stranieri.
Superfluo chiedere ad un cittadino albanense cosa pensa della propria città, ne sono ovviamente orgogliosi, per quel misto di storia e natura che offre.
Nelle loro vene scorre l’orgoglio dell’antica Alba Longa, madre di Roma.

albano

I cisternoni
Affacciati da uno dei finestroni, ci manca il respiro nello scoprire nella terra di Albano, nascosto nel suo cuore, uno dei siti archeologici d’epoca romana più spettacolari: i cosiddetti Cisternoni, una gigantesca vasca a cinque navate costruita per contenere la raccolta d’acqua, che allora come ora esce fuori dalla condotta in una fragorosa caduta per precipitare in questa enorme e buia caverna, che se annaspiamo l’aria sa di umido.
Basta prendere appuntamento con il personale del Museo per visitare un’opera davvero grandiosa  se si considera quando è stata costruita (fine II sec. d. C.), tanto più se si pensa che a tutt’oggi in Italia ci sono paesi all’asciutto, pur avendo presenza idrica nelle vicinanze! I Cisternoni risalgono al tempo dell’imperatore romano Settimio Severo e furono edificati per rifornire d’acqua l’accampamento della Seconda Legione Partica e le abitazioni che gravavano intorno ad esso. L’alimentazione della cisterna era assicurata da due acquedotti, provenienti dalle sorgenti poste all’interno del cratere del lago di Albano, l’acqua dopo un percorso in galleria scavata nella roccia e lunga 1425 metri, giungeva (allora ed ora) al fosso dell’Acqua Acetosa e quindi al Tevere e al mare. La pianta della cisterna è quasi rettangolare con i lati lunghi di m.47,90 e 45,50 e quelli corti di m. 29,62 e 31,90. L’enorme vasca è stata scavata all’interno del banco di peperino per la profondità di 3-4 metri lasciando integri i basamenti dei 36 pilastri, posti su quattro file parallele, dividendo l’area in cinque navate, inoltre per aumentare il volume sono state realizzate in mattoni ampie volte a botte, permettendo di immagazzinare più di 10.000 m3 di acqua, infine pareti e pilastri sono state protette con una fodera di malta idraulica, il cocciopisto, che conferiva l’impermeabilizzazione necessaria. L’areazione era ed è assicurata da alcuni lucernari circolari posti sulle volte e da cinque grandi finestroni sul fronte strada, aperture che a tutt’oggi permettono di ammirare tale opera, che a distanza di 2000 anni ancora è funzionante, infatti la cisterna fu ripulita nel 1884 e riattivata insieme agli antichi acquedotti fornendo acqua potabile fino al 1912, ultimamente l’acqua viene usata per innaffiare i giardini comunali.

La tomba degli Orazi e Curiazi
E’ forse il monumento più misterioso di Albano per la leggenda che l’avvolge, peccato che sfugge alla vista di chi passa sulla via Appia, in quanto si trova al di sotto della strada principale, all’altezza del curvone, poco oltre il centro storico. Fu Leon Battista Alberti nel ‘500 ad attribuire il maestoso e singolare monumento funerario ai mitici eroi: i tre fratelli gemelli Orazi (Romani) e Curiazi (Albani), che combatterono tra di loro per evitare una guerra fratricida tra la città di Alba e quella di Roma, in quanto entrambe avevano origine da una stirpe comune. Narra Tito Livio che all’inizio della lotta furono vittoriosi i tre fratelli gemelli Curiazi, perché sebbene feriti erano riusciti ad uccidere due degli Orazi; a questo punto il terzo Orazio, rimasto solo, capisce che deve far leva sulla nota furbizia romana, rivelatasi utile in più battaglie, infatti finse di fuggire e così uccise uno alla volta gli avversari che gli correvano appresso! Storia e leggenda andate in frantumi da recenti studi che hanno datato il monumento al I sec. a. C. e che per la sua forma (quattro e forse cinque tronchi di cono su un’alta basa quadrangolare) trova confronti con lo stile etrusco delle urne cinerarie di Volterra e di Cerveteri. Chissà che non si tratti di un’erudita ricostruzione repubblicana della tomba dell’etrusco Arunte, commissionata dalla gens che da lui discendeva!

L’Anfiteatro
Il divertimento era sacro per il popolo dell’impero romano, sicché i soldati trovandosi stanziali, si dettero da fare per costruirsi un anfiteatro sfruttando in parte il banco roccioso ed in parte ricorrendo all’opera muraria tanto da raggiungere i 22 metri d’altezza, pari ad un attuale palazzo di sette piani! Era infatti il più grande del Lazio, potendo accogliere circa 16.000 spettatori che venivano a divertirsi ovviamente data la presenza dei soldati con i duelli tra gladiatori e forse naumachie, in considerazione dell’abbondante acqua di cui si poteva usufruire. E ci pare di sentire il rumore delle armi nell’arena, la polvere che s’alza durante i combattimenti e la vista del sangue e  ancora l’eco del popolo che incita calorosamente il proprio beniamino, proprio come ora si tifa con calore allo stadio per il giocatore preferito. Peccato che nel medioevo l’anfiteatro sia diventato cava di materiale da costruzione, e di esso sia rimasto ben poco. Eppure sebbene ridotto nella sua grandiosità e capienza conserva un fascino tale da invogliare a tenervi delle rappresentazioni, magari meno cruente di quelle di un tempo!

La Porta
Porta Pretoria. Era la porta che immetteva nell’accampamento sul lato della via Appia, ed allora doveva essere davvero imponente se si considera che la via un tempo era di otto metri al di sotto del livello attuale, ai quali dobbiamo sommare quelli dell’intera costruzione che raggiunge i 14 metri d’altezza. Formata da tre fornici, quello centrale più grande era riservato al passaggio dei carri, invece i due laterali a quello pedonale. E’ possibile vederla sia dal lato del Corso, sia da via De Gaspari.

La Chiesa
Chiesa di S. Pietro, ex Terme romane. Ben visibile dal Corso Matteotti, l’antica chiesa voluta da papa Ormisda nel 514 d.C. oltre ad essere interessante per i restauri medioevali, è fonte di esempio architettonico di riuso, infatti le terme nel tardo impero vennero riutilizzate, grazie alle loro ampie volte, per le nascenti chiese cristiane. Un altro esempio del genere è l’altrettanto bella chiesa di S. Maria della Rotonda che sorge su di un Ninfeo circolare, facente parte dell’enorme villa dell’imperatore Domiziano, che si estendeva dal lago di Albano alla via Appia, trasformato poi in terme per “far lavare” la II Legione Partica, come testimonia l’originario pavimento di mosaico ad onde marine e grossi pesci, peraltro inadatti per una chiesa, se non fossero appartenuti ad un ambiente dal diverso utilizzo.

Il Parco
Pompeo (contemporaneo di Giulio Cesare) dovette amarla talmente la cittadina di Alba, da volervi costruire un’enorme villa di ben 9 ettari d’estensione, grazie al personale, cospicuo bottino di guerra proveniente dalla guerra mitridiaca. All’ingresso di Albano, immersi nel verde del parco comunale, se si scende lungo i sentieri si possono ancora oggi vedere le fondamenta di tale immensa villa, resti visitati perlopiù dai turisti, che qui possono unire alla storia della cittadina un’ amena sosta ombreggiata dai poderosi alberi e rallegrata dalle aiuole variopinte. La villa, con vista su Roma e sul mare, era costruita su una dorsale che andava e va a degradare, sfruttando i dislivelli in maniera scenografica. Insomma non si trattava della solita villa costruita normalmente tutta su di un piano, qui il corpo centrale raggiungeva i tre piani di altezza per permettere di vedere laggiù in lontananza lo scintillio del mare, ed il resto scendeva di livello abbasso per la collina, il tutto era abbellito da ninfei e criptoportici, fontane e statue; un vero esempio di inserimento nell’ambiente naturale, al quale solo di recente si è tornati a ricorrervi nelle zone di particolare interesse paesaggistico. I ritrovamenti più significativi purtroppo si trovano nei musei Capitolini e Doria Pamphili.

Il Museo
Museo civico. Nel cuore del paese, sulla sinistra della via Appia, si trova il Museo Civico, che nato nel 1970, si è insediato nel 1983 in una villa dal sapore neoclassico, sorta nell’ottocento e che dopo un lungo periodo di decadenza fu acquistata dal Comune insieme al parco nel 1948. All’interno è possibile trovare la gentilezza del personale, tipica dei piccoli musei, che hanno una gran voglia di farsi conoscere, consci della ricchezza del loro patrimonio, esposto dopo anni di ricerca sul territorio, di studio e catalogazione. Non è bene levare al visitatore la gioia di scoprire da solo i reperti in mostra, il percorso che si snoda tra le bacheche ci riporta indietro di migliaia di anni per  rivivere la preistoria (come il caso della zanna dell’elephas antiquus, che abitava le nostre terre, prima di ritirarsi in Africa e in Asia), la vita del villaggio palafitticolo sommerso nelle acque del lago di Albano, e quello capannicolo sul colle della Mola, dove gli uomini sostavano nelle transumanze stagionali dalla montagna al mare, godendo di abbondanti pascoli e acqua; le punte in selce ci parlano di caccia, il vasellame ci racconta la vita di tutti i giorni, quello delle necropoli ci mostra la cura per i defunti e poi abbondano i resti dei numerosi luoghi di culto come i “votivi anatomici” con i quali si offriva alla divinità una copia minuscola della parte malata per ottenere la guarigione e via via scorre il tempo e la storia e la ricercatezza dei manufatti ci parla dell’abilità raggiunta nei secoli del tardo impero romano, quando il cristianesimo s’era già affacciato alle porte.


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