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La latrina nell’antica Roma


Se gli antichi Romani avessero visto i bagni delle nostre case, frutto dell’attuale moda che tende a isolare la tazza, cioè il cesso, e chi lo usa, dal resto della zona abluzioni, avrebbero pensato che ci priviamo del risvolto più piacevole e amichevole legato al bisogno corporale, infatti allora si entrava in una latrina pubblica o forica non solo per necessità, ma anche per incontrare gente, chiacchierare, stringere amicizie e magari trovare un invito a cena, così come ci dice Marziale stesso: “Il fatto che Vacerra spreca il suo tempo passando da un gabinetto pubblico all’altro e che se ne sta seduto là tutto il giorno, vuol dire che Vacerra ha voglia di cenare, non di cacare”.

Ovviamente il maggior numero di latrine pubbliche e private sono state trovate a Pompei, rimasta intatta sotto lo strato di cenere vesuviana, ma anche a Roma ce n’erano tante, anche se molte sono andate perdute, infatti i Cataloghi Regionari (un elenco di monumenti redatto nel IV sec. d.C.) enumerano 150 latrine nella città, tuttavia non sappiamo se in questo numero erano comprese anche quelle interne alle case: le domus, e ai condomini: le insulae.
Viene da chiedersi:”Come mai i Romani, che costruirono strade fino ai confini dell’impero, ponti, teatri ed anfiteatri, acquedotti, terme, non avevano la stanza da bagno o quantomeno il gabinetto dentro le proprie case, tanto da dover ricorrere ai bagni pubblici?”

Innanzi tutto questa disquisizione non riguarda gli imperatori o la ricca classe senatoriale, che nelle proprie abitazioni possedevano ogni agiatezza, il problema riguarda la massa della popolazione, che abitava in condominio, si tratta di un problema tecnico di allora, legato alla carenza di pressione dell’acqua nelle tubature, che riusciva a servire al massimo un primo piano, sempre che non si abitasse in zone troppo elevate. La maggior parte delle insulae (un insieme di palazzi anche di sette piani) erano da considerarsi delle vere e proprie case-dormitorio, densamente abitate, per cui per lavarsi si andava alle terme e per defecare nelle latrine pubbliche, il che già denota un livello sociale ed igienico progredito rispetto all’epoca in cui si usava semplicemente l’orinale che si andava a svuotare nei pozzi neri o per sbrigarsi si faceva volare via il contenuto dalla finestra!

Latrine in condominio
Facendo un confronto con Ostia, dove l’edilizia abitativa intensiva (insulae) si è conservata meglio che a Roma, possiamo vedere che se le latrine erano presenti all’interno di un caseggiato, erano poste nel sottoscala, al piano terreno, dove l’acqua pulita e quella nera potevano arrivare e defluire facilmente, dalle condotte che correvano lungo la strada. Erano usate dagli inquilini del condominio (un modo per conoscersi e solidarizzare?) e le fonti parlano di un recipiente dove tutti andavano a svuotare i vasi da notte, chiamati lasana.
Qui bisogna fare una distinzione tra “solido” e “liquido”, infatti l’urina non si lasciava andare nella cloaca, ma veniva raccolta, grazie al suo utilizzo per il lavaggio dei panni e la concia delle pelli. A  Roma, il poeta Marziale parla di orci, dolia, posti all’angolo delle strade, per la raccolta dell’urina; erano i tempi in cui nulla andava sprecato, e perfino gli svuotatori dei vasi avevano un nome, si chiamavano: fullones.

Lo stesso imperatore Vespasiano per rimpinguare le casse dell’impero fece costruire per le strade degli orinatoi (a pagamento) che da lui presero il nome di Vespasiani, uno dei quali è ancora visibile all’ingresso della Passeggiata Archeologica.
Qualora gli scarichi delle latrine non finivano nelle cloache, ma nei pozzi neri, venivano prelevati di notte dal conductor fornicarius che evidentemente guadagnava anche con la raccolta dei rifiuti dei pozzi neri, rivendendosi la materia come concime.

latrina

Latrine nelle domus
Tra le agiatezze che si poteva permettere il proprietario di una domus era incluso il gabinetto privato, ovviamente si doveva trovare in un piano terra, massimo un primo piano, inoltre possederlo era un privilegio negato a quelle residenze private che si trovavano in zone collinari, carenti di quella pressione dell’acqua, che rendeva il flusso costante.Ma ciò che più sorprende noi uomini moderni è che molto spesso la tazza era collocata in cucina! L’ubicazione ci fa rabbrividire? La ragione era pratica, in cucina  erano predisposte le tubature dell’acqua pulita e gli scarichi di quella sporca, per cui la vicinanza della cucina al cesso evitava lo spreco d’acqua, in quanto le donne gettavano  quella di scarto della preparazione dei cibi nella latrina; inoltre la mancanza di un luogo appartato per defecare ci fa comprendere come tale atto fosse considerato con molta più naturalezza rispetto l’epoca moderna; del resto non scordiamo che l’abitudine dei re  di defecare in una sedia apposita, di fronte ai personaggi di corte, si è protratta fino all’ottocento!

Latrine pubbliche
Per entrare nelle foriche pubbliche bisognava pagare, almeno dall’epoca di Vespasiano, una tassa d’ingresso molto bassa, riscossa dal conductor, così come avveniva per l’ingresso alle terme. Ciò che sorprende noi moderni è la promiscuità, infatti nella stanza (nel cui perimetro erano sistemati i sedili forati) avevano tutti libero accesso: uomini, bambini e donne, che indubbiamente negli strati più umili della popolazione godevano di maggiore libertà  rispetto alle donne patrizie e benestanti.
L’impianto era costituito da un canale, posto al di sotto dei sedili, lungo come il perimetro della stanza, nel quale cadevano gli escrementi, che venivano portati via dall’acqua corrente, fino a defluire nella cloaca più vicina. Il canale ovviamente era rivestito in cocciopesto, una malta adatta ad impermeabilizzare le murature, mentre i sedili per una questione d’igiene erano generalmente in pietra o marmo, ma in alcuni casi potevano essere anche di legno, infine sempre per una questione igienica la pavimentazione era in sectile (lastre marmoree) o in mosaico (tessere di pietra o marmo), materiali che non temevano la presenza di acqua necessaria a tenere pulito il pavimento. Le pareti, per allietare i convenuti, erano dipinte.
Per completare il servizio, davanti ai sedili, correva una canaletta nella quale scivolava acqua pulita, necessaria affinché i fruitori potessero lavarsi, praticamente l’equivalente del nostro bidet. Si detergevano con l’ausilio di spugne dotate di manico, ovviamente non personali, ma appartenenti a tutti, e visto che erano gente pulita (!) per nettarle dagli escrementi venivano immerse nell’acqua corrente, così come ci riportano Marziale e Seneca!!!

I graffiti
Le numerose scritte sui muri, che ieri come oggi imbrattano le pareti dei gabinetti, sono arrivate fino ai nostri giorni per parlarci della vita dell’uomo di allora e sono legate alla vita quotidiana delle classi più umili, uomini scordati dalla storiografia ufficiale; si tratta di disegni a carboncino o graffiti incisi con uno stilo o magari con le dita sull’intonaco ancora fresco. Vi sono disegnati pure segni osceni: falli di varie dimensioni con annessa scritta esplicativa in greco, mentre in latino possiamo leggere: “dopo aver goduto dei piaceri della tavola è bene fare un salto qui prima di dedicarsi, poi leggeri, ai piaceri dell’amore”. Anche Marziale parla di versacci scritti nelle foriche, che erano letti da quelli quae (che)…cacantes.

Concludendo possiamo dire che perfino una città come Roma, dotata al tempo dell’Impero di tanti gabinetti pubblici e privati, era in realtà  sporca, in quanto soltanto una parte delle acque piovane e degli scarichi delle latrine andavano a finire nelle cloache. Si può solo lontanamente immaginare quanto la situazione igienica fosse precaria e come l’acre odore di urina ammorbasse l’aria; anche perché, nonostante la presenza di tante foriche, sappiamo dalle fonti letterali che rimase l’abitudine di “appartarsi” per soddisfare i bisogni corporali, oppure di lanciare il contenuto degli urinali dalla finestra, così come ci racconta il poeta Giovenale.
Caduto l’Impero Romano le latrine, private del rifornimento idrico per colpa del disuso degli acquedotti, caddero in abbandono, si tornò a gettare l’urinale nei pozzi neri, nei viottoli meno frequentati o giù dalla finestra.

Per avere nuovamente il gabinetto in casa bisognerà attendere il ritorno dell’acqua nelle abitazioni, dopo di allora cominceranno a proliferare le “superfetazioni” nei cortili interni. Nasce, così, quel luogo moderno appartato, dove l’uomo nasconde se stesso agli altri e siamo ormai lontani anni luce dalla mentalità romana che viveva con piacere gli incontri ravvicinati di questo tipo…


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