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De-contestualizzazione dell’architettura contemporanea


L’architettura contemporanea è evidentemente caratterizzata da un’estrema eterogeneità di correnti poetico-stilistiche. È per questo, quindi, che assume una valenza fondamentale l’approccio alla contestualizzazione dell’edificio.

Fino allo scorso decennio, la contestualizzazione di un edificio veniva concepita come allineamento di fatto al tessuto urbano esistente e come corrispondenza stilistica dell’edificio contemporaneo a quelli dell’immediato intorno. È evidente come questo approccio non sia ormai sufficiente alla nostra architettura, specialmente in una città come Roma; in primo luogo perché avremmo solo un’architettura del “mattone”, e in secondo luogo perché è ormai vero che la percezione di un edificio e comunque di uno stralcio della città non è più solo parziale. Con le dinamiche del nostro tempo la percezione della realtà diviene globale: con l’enorme sviluppo fatto nel campo dei mezzi di comunicazione, delle telecomunicazioni, e più in generale dei mass media la percezione di un edificio non può essere concepita strettamente limitata all’immediato intorno, ma deve prevedere la visione globale che la massa ha dello stesso.

È in questa idea di contestualizzazione che Mario Ridolfi, Mario Fiorentino e Wolfgang Frankl già nel 1948 si collocano progettando la sopraelevazione del villino Alatri in Via Paisiello 38.
In questo intervento i tre, muovendo sull’idea di Ridolfi di “architettura organica” contrapposta poeticamente a quella funzionalista, agiscono per differenziazione e continuità con l’edificio preesistente.

Premettendo che l’edificio posto ad angolo fra via Paisiello e via Bellini fu edificato nel 1928 da Marpurgo che lo progettò in un manierato “barocchetto”, è chiara ed evidente la volontà dei tre architetti di contrapporsi e negare l’architettura della preesistenza cercando così di ridonare all’edificio una sua dignità e una sua identità architettonica. In tale intervento è palese la capacità di Ridolfi, Fiorentino e Frankl di intervenire, seppure in maniera antitetica, su una preesistenza, individuandone le geometrie e le regole compositive che vengono poi moltiplicate e sovvertite nell’intervento di sopraelevazione che aggettando viene maggiormente evidenziato. Per Ridolfi quello dell’intervento sull’edilizia esistente esprimendo la volontà di aderire alla complessità dei fattori urbani e più in generale quello della contestualizzazione è il tema che lo coinvolge per tutta la vita.

Questo modo di concepire la contestualizzazione è piuttosto europeo e allineato con le più moderne tecniche di percezione della città moderna. È altrettanto vero che in una città come Roma divengono innumerevoli i fattori vincolanti che derivano dalle preesistenze e quindi  diviene ancor più complesso concepire la localizzazione di un edificio moderno all’interno del tessuto storico. In particolare è necessario che il progettista possegga una sensibilità estrema nei confronti di questi fattori che devono necessariamente e obbligatoriamente essere rispettati in tutte le loro sfaccettature. È evidente che in un intervento come quello de Le grand Arche de La Dèfense a Parigi, progettato dall’architetto danese Johan Otto von Spreckelsen nel 1983 seppure ardito e colossale, i vincoli sono esclusivamente quelli legati alla coassialità con l’Arc de Triomphe e il “National Royal Axis” e alla percezione netta della mutata sky line dalla città di Parigi.

Diverso e più paragonabile all’intervento di Ridolfi e Fiorentino è quello del Centre Pompidou di Renzo Piano e Richard Rogers iniziato nell’aprile 1972 e solennemente inaugurato da Giscard d’Estaing il 31 gennaio 1977: in questo caso come per Villa Alatri siamo in pieno centro storico e le dinamiche che influenzano l’architettura sono molteplici; ma tali progettisti hanno avuto il coraggio ma soprattutto la capacità di irrompere nel tessuto urbano esistente con la nuova architettura, quella che ci rappresenta e ci affermerà nel trascorrere della storia futura come noi possiamo godere dell’architettura romana.


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