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Il Parco dei Mostri di Bomarzo


“Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua ove tutto vi parla d’amore e d’arte”

Il parco detto dei Mostri, per la presenza di figure fantastiche e grottesche, in realtà sarebbe meglio chiamarlo il Sacro Bosco, poiché attraverso il percorso catartico che in esso si compie, il suo ideatore Vicino Orsini e l’architetto che l’ha realizzato, Paolo Logorio, hanno percorso la strada verso la conoscenza, offrendola agli uomini loro contemporanei e ai posteri, ma anche… “sol per sfogare il core”.

Si favoleggiava di questo strano parco dove erano stati scolpiti Mostri giganteschi e paurosi, ma erano tornati a coprirsi di vegetazione quegli spuntoni di roccia, che si ergevano maestosi nel degradare della collina, modellati in creature ed architetture singolari da mano esperta e voluti da mente umana che aveva dato loro l’afflato della vita grazie all’arte, erano tornati a dormire per quattrocento anni, slavati dei lori smaglianti colori dalle acque piovane e dal sole…
Fu Salvator Dalì tra i primi artisti e uomini di cultura a voler riconquistare la memoria storica del bosco. Nel XX secolo sembrò geniale l’idea cinquecentesca di trasformare le rocce insignificanti del luogo, in esseri che danno voce alla roccia; si deve poi alla famiglia Bettini il suo recupero.

Una storia d’amore e d’arte
Nella seconda metà del cinquecento, nella valle collinare ai piedi dei monti Cimini, le grandi casate romane avevano fatto sorgere palazzi e parchi per testimoniare la loro potenza politica, allora avere un bel giardino era una sorta di status symbol, era anche un modo per dimostrare la nuova linfa vitale che scorreva nelle menti acculturate dell’epoca, infatti grazie alla riscoperta del sapere greco-romano, in questi edifici entrarono solo Dei pagani, fu riscoperta l’astrologia, la magia, l’alchimia, abbandonando l’iconocrafia cristiana che per secoli aveva dominato l’arte di templi e residenze signorili. Tra questi nobili c’era l’ideatore del bosco di Bomarzo, l’eccentrico principe Pier Francesco Orsini, detto Vicino, egli volle farsi “Cittadin de’ Boschi”, applicando la norma epicurea del “Vivi Nascosto”.

Il motivo per la creazione del giardino (1552) nasce dalla gioia per un grande amore, quello per la moglie Giulia Farnese, parente di quel Colonna che era stato ideatore e guida letteraria per tutti coloro che si vollero occupare di “inventare” giardini. Lei è la musa ispiratrice del Sacro Bosco, come Beatrice era stata la guida spirituale di Dante, così Giulia lo fu per Vicino.
Tuttavia subito dopo il matrimonio, il principe dovette partire in guerra e rimanere lontano dalla moglie per molti anni, fu fatto pure prigioniero e pare che Giulia abbia fatto costruire la casa pendente, che si trova all’inizio della primitiva entrata, come omaggio al marito, a significare che senza di lui la casa, la casata, non era stabile; in effetti se vi si entra per trovare riposo, bisogna presto uscire per il senso di instabilità e capogiro che si prova, al punto di pensare inevitabilmente alla precarietà delle cose umane, anche se sembrano solide. Finalmente Vicino tornò a Bomarzo per dedicarsi alla famiglia, ma Giulia gli fu strappata dalla morte, e nelle sue lettere si legge la disperazione dell’uomo, che trova sollievo unicamente dedicandosi corpo ed anima all’ideazione del suo parco, egli attraverso questa elaborazione materiale intese percorrere allegoricamente la strada umana dell’elevazione. Interessato a nuovi libri, a cose nove, saporite e stravaganti, fa scalpellare sul terrazzo: “Conoscersi. Vincersi. Vivere per se stessi. Non gli uomini per i luoghi, ma i luoghi per gli uomini.” Il suo castello è tempestato dall’insegna di famiglia: la rosa a cinque petali, ricca di simboli, oltre che cristiani, anche ermetici, egli si vede come un mago che edifica un castello incantato e dice a dame e paladini: “Che ognuno vi incontri ciò che più gli sta a cuore e che tutti vi si smarriscano”.

Giardini all’italiana
In tema di giardini, Vicino era erede di una grande tradizione, già i Romani, allorché non abitavano in condominio, ma erano proprietari di una abitazione, amavano allietarla con il verde. Spesso la casa era più piccola del già minuscolo fazzoletto di terra al quale non si rinunciava (come possiamo vedere negli esempi di Ostia antica o di Pompei), se poi le finanze lo permettevano si arrivava ad organizzare lo spazio boschivo intorno alla villa, con ninfei, cascatelle, peschiere, criptoportici, il tutto allietato da statue e architetture a più livelli, esempio classico è la Domus Aurea di Nerone a Roma o la villa di Adriano, sotto Tivoli.

Per tornare a dettar scuola in tema di giardini, bisogna arrivare al ‘500, all’epoca in cui riscoperta la cultura greco-romana, la famiglie nobiliari tornarono in tutta Europa a curare lo spazio verde che circondava regge, castelli e ville, seguendo la moda che prevalse in Italia e che fu esportata in tutto il mondo di allora, secondo il gusto dei giardini chiamati “all’italiana”. Dettano legge il Belvedere Vaticano del Bramante (1504-1513); villa Madama del Raffaello (!517); Gli Orti Farnesiani sul Palatino (1565); e fuori Roma a Caprarola, Palazzo Farnese (1559) del Vignola, il cui proprietario era amico di Vicino; sempre del Vignola villa Gambara poi Lante a Bagnaia (1568) nei pressi di Viterbo; villa d’Este a Tivoli, curata anche da Pirro Logorio, lo stesso che lavorò a Bomarzo, tanto per citare i più importanti.
Insomma ci fu una vera e propria gara tra cardinali e nobili a chi aveva il giardino più spettacolare, anche se tutti questi progetti avevano in comune sia il riproporre la metodica antica, giocata sul pendio a tre livelli, allietati da fontane, giochi d’acqua, sculture, sentieri, labirinti, scalinate, sia un rigido tracciato geometrico, delineato con siepi sempre verdi, al cui interno spiccavano coloratissime aiuole ornamentali, nonché un preciso programma narrativo iconografico, che attingeva all’antica mitologia.

Il parco di Bomarzo
Vicino Orsini è uomo nuovo, è ormai lontano da questa logica progettuale, il Rinascimento era in declino, si iniziava ad amare i giganti, i mostri, le invenzioni sceniche e teatrali che accompagnavano i matrimoni di prestigio o i grandi eventi, per cui Vicino è figlio e preludio dell’epoca successiva che si espresse nel ridondante Barocco. Tutto nel suo giardino fu fatto per stupire (basta rileggersi la frase incisa sulla Panca Etrusca): animali giganteschi (come la Tartaruga), fantastici (come la Sfinge, l’Orco, il Drago), esotici (come l’elefante e il leone), colossi grotteschi, figure mitologiche dalla conclamata funzione allegorica (come Pegaso, Cerere, Plutone e Cerbero)). Per lui tutto ciò è arte, ma, in quei tempi, arte significava pure artifizio, inganno, incantesimo, magia!

La live story del Sacro Bosco
Alla base di tutta questa nuova arte c’era un’opera letteraria, pubblicata un secolo prima, nel 1499, la Hypnerotomachia Poliphili (sogno di Polifilo), scritta da Francesco Colonna (come dicevamo lontano parente di Giulia), che era signore di Palestrina. In questo libro il personaggio principale si ricongiungeva all’amata dopo svariate peripezie che si snodano attraverso una serie di giardini descritti nei dettagli. Praticamente sia questo racconto che il giardino di Bomarzo erano dedicati alle rispettive donne, amate e morte prematuramente, e a questo programma pare attenersi la prima parte dei lavori nel parco, che arriva fino al 1563, con opere come il Tempietto, il Ninfeo, il sacrario di Venere, il Teatro.

Il mondo dei Giganti
Da alcune epistole emerge l’interesse di Vicino per i Giganti, diffuso grazie all’Orlando Furioso, opera di Ludovico Ariosto. Si sparse talmente questa moda da dominare la scena con statue gigantesche perfino nelle piazze di importanti città. E in questo secondo percorso ideato alla “grande”possiamo trovare La Tartaruga, la Balena che esce dalle acque come quella dell’Ariosto, la fontana di Pegaso, la bocca dell’Orco, la lotta tra i Giganti.

Selva stregata e temi infernali
Ancora dalla letteratura arriva la programmazione del terzo percorso, quello della selva incantata e dei temi infernali (Plutone,il Drago, l’Elefante, il Cantaro, Cerere e Proserpina, Cerbero, la Sirena bifida) suggerito dai poemi cavallereschi che andavano molto di moda. Si sa dalle lettere che Vicino fu influenzato dal bosco magico che ricorreva nei poemi cavallereschi italiani:l’Orlando Innamorato, del Boiardo, l’Amadigi e la Gerusalemme Liberata del Tasso. Sempre in questi poemi l’iniziazione di un cavaliere al coraggio e alla gloria, avviene in una selva incantata, lasciando però margine anche al divertimento, sicché a visioni spaventose si alternano altre allettanti: questo elemento è stato visto come una contraddizione, che ha fatto impazzire i critici.

E come sempre se si conosce il periodo storico, gli interessi culturali e le vicende intime, allora è più facile capire l’operato di un uomo, che è stato ed ancora è un rompicapo per i critici d’arte. Vicino Orsini, con il suo giardino di Bomarzo, ai suoi tempi, è così piaciuto da essere imitato, infatti ai geometrici e precisi giardini all’italiana, subentrò un nuovo tipo: viali e arbusti apparentemente allo stato naturale, con la scoperta ad ogni angolo di una pietra che parla agli uomini di tanti secoli a lui posteriori: “Che ognuno vi incontri ciò che più gli sta a cuore e che tutti vi si smarriscano”, perché la selva oscura serve proprio a questo, a ritrovar se stessi!


Per l’ingresso al parco è stata scelta la Sfinge, mitico personaggio che obbligava i passanti a risolvere un enigma e qui, di sfingi ce ne sono ben due, e si rivolgono ai visitatori con linguaggio oscuro, una dice: “Chi con ciglia inarcate et labbra strette non va per questo loco manco ammira le famose del mondo moli sette”. E l’altra: “Tu ch’entri qua pon mente parte a parte e dimmi poi se tante meraviglie sien fatte per inganno o pur per arte”. Tutto ciò per far capire che non ci troviamo nel solito giardino, qui tutto (natura, vegetazione, acque, statue) è stato creato ad arte, non scordiamo che era l’epoca dei poemi cavallereschi ed allora arte significava pure inganno, incantesimo, magia. Le sfingi fanno parte insieme ai due cippi e alla casa pendente delle primissime opere del parco.


Dall’ingresso al giardino è possibile vedere in lontananza il castello Orsini che grandeggia sul paese. Si tratta di due entità separate. Il Sacro Bosco era visitabile solo dagli intimi (gli uomini di cultura dell’epoca) del principe, che dedicò questo giardino all’amata moglie Giulia, morta prematuramente. E come Beatrice era stata la guida spirituale di Dante, così Giulia lo fu per Vicino, il quale attraverso questa elaborazione materiale intese percorrere allegoricamente la strada umana dell’elevazione.

Bomarzo
Prendendo il vialetto a sinistra e superate le figure che incarnano gli Dei più antichi, (ovviamente tratti dalla mitologia greco-romana, qui tutto è pagano, davvero singolare se si pensa per quanti secoli aveva predominato esclusivamente l’iconografia cristiana) si arriva ad una testa colossale, dalla bocca spalancata e denti giganteschi, che porta il globo terrestre e sopra ancora un castello. E’ Proteo, il dio marino che aveva il dono della profezia, dunque portare sul suo capo il castello tetragono degli Orsini vuol dire predire ogni bene a questa dinastia.

Bomarzo
Grandioso gruppo scultoreo, quello della lotta tra Giganti, se si considera che è stato scolpito in loco su una roccia che si ergeva in tanta altezza. In alcune lettere di Vicino Orsini si riscontra un particolare interesse per il mondo dei Giganti, che alla sua epoca andavano molto di moda nelle rappresentazioni teatrali.. Alcuni vi hanno ravvisato la raffigurazione di Orlando (L’Orlando Furioso dell’Ariosto, il signor d’Aglante), pazzo d’amore, che spogliatosi delle armature scolpite dietro la scultura, squartava un innocente. A fianco alla grandiosa opera si legge: “Se Rodi altier fu già del suo Colosso pur di questo il mio bosco ancor si gloria ed per più non poter fo quanto posso”. L’isola di Rodi, infatti, era famosa per il Colosso, considerato una delle sette meraviglie del mondo antico, e Vicino è fiero del suo, che probabilmente sta a rappresentare la vittoria del Bene sul Male.

Bomarzo
Per la bellezza e l’arte espressa da questo gruppo scultoreo, anche il museo francese del Louvre l’ha voluta tra i suoi capolavori. Si tratta di una colossale Tartaruga (allora molto in voga in letteratura e nelle rappresentazioni scenografiche), sul cui dorso posa una sfera, sulla quale si erge su un sol piede una figura femminile mutila. La Tartaruga è rappresentata anche nelle culture orientali come l’animale che regge il mondo. Su di essa una fanciulla che possedeva le ali e due trombe nelle mani, è la Fama. Le ali servono a ricordare sia la capacità di valicare i confini più lontani portando notizie, sia la sua fugacità (Fama volat); le trombe invece stanno a rappresentare una la buona e l’altra la cattiva sorte. Vicino ha voluto rappresentare la Fama come immagine allegorica, infatti la statua si poggia in bilico sul globo, infine stretto è il legame della Fama con quello della Fortuna. Sotto la tartaruga, sulla riva opposta spalanca le fauci una Balena (presente in letteratura come elemento di pericolo), forse a sottolineare una minaccia dalla quale salvaguardarsi con una condotta prudente.

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Accanto alla Tartaruga e ai suoi simboli opposti di concretezza e precarietà, appare la Fontana di Pegaso, il mitico cavallo alato che con un colpo di zoccolo fece scaturire una fonte magica che ispirava poesia in chi beveva le sue acque. Da notare è il piano molto inclinato sul quale sta per spiccare il volo Pegaso, sta quasi ad indicare la precarietà della vita, e pare dirci che si può trovare sollievo agli umani affanni proprio grazie alla poesia.

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Alcuni hanno pensato che l’uomo barbuto stia a significare il Tevere, che scorre in fondo alla valle, per altri è Nettuno dio dei mari, per via di quel delfino (simbolo di rigenerazione) che accarezza, altri ancora vi ravvisano Plutone, il dio degli Inferi, infatti sono suoi attributi come la cornucopia (Plutone in greco significa donatore di ricchezze) e il mostro marino a fauci spalancate, ad indicare la supremazia sui fiumi infernali.

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Per Logorio, l’artefice del Bosco Sacro, il drago, animale fantastico, non ha niente di diabolico (come nella credenza cristiana, in cui è impersonificazione del male, che va ucciso per opera di un uomo santo). Rappresenta, invece, il Tempo ed è attaccato da tre animali: un cane, un lupo ed un leone, simboli del passato, del presente e del futuro.

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Un elefante in assetto di guerra, sormontato da una torre e condotto da una guida, mentre si impadronisce di un legionario romano. Secondo Logorio è il più saggio degli animali, ma è inevitabile il ricordo delle disfatte di Roma per colpa di questo grosso animale sconosciuto sulle nostre terre e il pensiero di Vicino doveva andare alla terra d’Africa che gli aveva strappato alla vita il figlio. Di fronte all’elefante sono disposte due file di grandi vasi, poco più in là ce n’è uno gigantesco, un Cantaro, con impressa Medusa, figlia dell’impero dei Morti; il vaso ricorda la discesa di Bacco con una coppa in mano fino agli Inferi e quello che c’è scritto nel Timeo: in un cratere furono gettati i semi di tutte le cose e ogni anima li contiene tutti quanti….

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Cerere, la dea della vita e dell’abbondanza, o visto che ci troviamo nel comprensorio infernale, sua figlia Proserpina (quando lei sta sulla terra c’è luce e frutti, quando d’inverno scende dal marito Plutone, nel regno dei Morti, sulla terra c’è buio e gelo), E’ una delle più belle sculture del parco, circondata di putti (in ricordo di Raffaello) e da due tritoni, si trova lontana ma di fronte al Drago: il Tempo.

Bomarzo
Enorme testa di uomo, impietrita in un grido di spavento, L’Orco vuole ricordarci l’ingresso al mondo degli Inferi, annunciato da un verso di Dante e scritto sul labbro superiore: “Lasciate ogni pensiero voi ch’entrate”. Ancora la tematica dell’orrido e dell’incantato, e per aumentarne l’effetto di verosimiglianza bisogna ricordare che queste sculture erano state colorate. Ognuno di noi trepidante sale i gradini per entrare nell’oscure fauci e, sorpresa assoluta, si scopre che all’interno c’e un tavolo con panca, sempre rigorosamente di pietra! Tutto ciò desta la meraviglia dei critici e pure del semplice visitatore: l’orrido accanto all’allettante!

Bomarzo
Anche questa roccia che emerge maestosa sul declivio è stata modellata volutamente sbilenca, ma la così detta Panca Etrusca è in piano ed invita al riposo chi cammina per questi viali che si snodano lungo il parco. Leggete ciò che l’Orsini vi fece scrivere: “Voi che pel mondo gite errando, vaghi di veder meraviglie alte et stupende, venite qua, dove son faccie orrende, elefanti, leoni, orsi, orchi e draghi”.

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Non poteva mancare nel Bosco incantato, nella zona dedicata agli Inferi, Cerbero, il cane a tre teste, grazie alle quali può guardare in ogni parte. Triplice perché anche nel regno dell’oscurità vale la regola della Triade.

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Il Tempio ultimamente dedicato alla memoria di Tina Severini Bettini, per il merito di aver salvato il parco intero dall’oblio, in realtà era stato rivolto da Vicino alla donna amata portatagli via dalla morte. Era guarnito con decorazioni Zodiacali, istoriato dalla rosa, altamente simbolica, come ogni elemento architettonico.


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