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Storia del ponte Sublicio


Il primo ponte di legno sul Tevere
Per attraversare il Dio Tevere fu costruito un ponte di legno secondo le antiche usanze religiose del tempo e per acquietare la furia distruttrice del biondo Tevere a primavera si tenevano feste propiziatorie con vergini e doni espiatori…
Le strade che da Roma si diramarono in tutto l’impero non avrebbero avuto nessuna funzionalità se non fosse stato possibile far loro attraversare i corsi d’acqua mediante i ponti, nella costruzione dei quali i Romani, sfruttando la tecnica dell’arco e della volta, dimostrarono grande abilità.

Per poco, per colpa di un ponte, gli antichi Romani stavano per abbandonare la nostra città all’indomani del saccheggio gallico del 390 a.C., e se così fosse stato la Storia avrebbe avuto un corso completamente diverso!
Come era giunta notizia che l’esercito non era riuscito a fermare i barbari, i cittadini spaventati abbandonarono le case per non cadere nelle feroci mani nemiche, anche le Vestali, accompagnate dal sacerdote del dio Quirino, si dettero alla fuga, tutti attraversarono il ponte per riparare a Cere. Di tornare non ne volevano sapere, non si sentivano più protetti come al tempo in cui la primitiva Roma, sorta sui colli, era inespugnabile perché a fondo valle gli straripamenti del fiume rendevano la pianura paludosa e malsana.

Nonostante ciò la zona, grazie al suo fiume, era stata da sempre eccellente luogo di scambio tra il nord e il sud, tra i monti dell’entroterra e il mare; insomma là dove il fiume formava un’ampia ansa in corrispondenza del Foro Boario, dando vita alla palude del Velabro (dove erano stati trovati Romolo e Remo e dove oggi c’è la Bocca della Verità), lì, allargandosi notevolmente il letto, il livello dell’acqua comportava un considerevole abbassamento per cui, soprattutto nei periodi di secca, le acque del Tevere si erano da sempre guadate e comunque c’era la possibilità di allestire un comodo traghetto.

Ed in questo particolare punto quando Roma si sentì abbastanza sicura da attacchi nemici, fu costruito il primo ponte: il Sublicio. Erano i tempi in cui la sacralità si leggeva in ogni cosa: il fiume Tevere, portatore di vita e di commerci, era sacro e quindi era considerato un Dio; il recinto quadrato su cui sorse Roma fu scelto dall’àugure a somiglianza della città celeste ed era sacro, le mura di conseguenza erano sacre e lo stesso le porte che permettevano il passaggio in ambedue i sensi, per cui anche il ponte che permetteva di passare comodamente da una riva all’altra era considerato sacro come le acque del fiume che scorrevano sotto di esso e che ogni tanto manifestavano la furia del dio Tevere che inondava rovinosamente le campagne circostanti! Essendo dunque un elemento sacro, furono escluse le parti metalliche (ferro e bronzo) in ossequio ad antichi tabù religiosi, ma secondo Varrone questa tecnica costruttiva era dovuta alla necessità di dover tagliare rapidamente il ponte in caso di attacco nemico, proveniente in genere dai territori etruschi sulla riva destra del Tevere.

Alla cura e alla ricostruzione del ponte (danneggiato spesso dalle piene) era preposto il Pontefice Massimo, che derivava il nome dalla sua funzione di “costruttore di ponte”. Sempre secondo Varrone (grande erudito dell’epoca di Cesare) in occasione delle ricostruzioni di ponte Sublicio, si tenevano solenni rituali tanto sull’una quanto su l’altra sponda del fiume, inoltre nei mesi di Marzo e Maggio si svolgevano le suggestive cerimonie religiose degli Argei. La prima parte delle celebrazioni consisteva in una processione solenne da parte dei cittadini in 24 sacrari sparsi in tutta la città, che ricorda molto il giro delle chiese che si compie secondo consuetudine a primavera il venerdì di Pasqua. La seconda parte della festa aveva luogo il 15 di Maggio, in questo giorno le Vestali (vergini sacerdotesse del Tempio) si recavano al fiume dove in presenza del Pontefice Massimo gettavano dal ponte Sublicio 24 fantocci fatti di giunchi, probabilmente in ricordo di antichi sacrifici umani a carattere espiatorio eseguiti in origine con prigionieri di guerra; riti antichissimi che forse servivano ad acquietare il dio Tevere, che nel periodo primaverile del disgelo andava ingrossando le acque provocando disastrosi allagamenti.

La tradizione attribuisce la costruzione del ponte ad Anco Marcio, il “re costruttore”, verso la fine del VII sec. a.C. Dicevamo che per scopi religiosi era interamente costruito di legno, con piloni formati da fasci di travi affondati nel letto del fiume e con le altre parti assemblate con sistemi ad incastro.

Per quanto riguarda il nome, è generalmente accettata la teoria che fa derivare il termine Sublicio da “sublica”, vocabolo che nell’antica lingua Volsca si riferisce alle travi.
Nelle fonti storiche è menzionato per la prima volta nella guerra tra Romani ed Etruschi, dopo la cacciata dell’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo. La notizia riporta il taglio del ponte ad opera dei Romani, nel corso della guerra contro Porsenna, al quale Tarquinio aveva chiesto aiuto. La storia o leggenda che sia ci ha conquistato già sui banchi di scuola delle elementari: mentre l’esercito romano si dava alla fuga, il soldato di nome Orazio Coclide si pose da solo sul ponte alla difesa del passaggio, mentre altri suoi compagni tagliavano la testata di ponte. Come in ogni migliore racconto, l’eroe buono si salva e a nuoto raggiunge la città che per ringraziamento gli tributò una statua equestre.
E’ probabile che in una di queste ricostruzioni almeno i piloni siano stati ricostruiti in muratura per meglio resistere alle frequenti e rovinose piene del Tevere, basti pensare che in cento anni, dal 60 a.C. al 69 d.C., fu completamente distrutto ben cinque volte!

La rovina del ponte si lega con il tramonto della religione pagana e con il cessare dei rituali che avevano per oggetto questa reliquia della città, tanto che non fu più ricostruito, ma nel medioevo ancora si vedevano i resti nei periodi di magra, fino a che nel 1484, più di quattrocento blocchi di travertino furono asportati dal ponte per fabbricare palle di cannone!
Infine nel 1878, in occasione dei lavori per liberare l’alveo del Tevere, le parti ancora affioranti furono fatte saltare con la dinamite.

Dicevamo che i Romani proprio non ne volevano sapere di tornare alle loro case, ma a convincerli fu Furio Camillo, lo stesso condottiero che aveva trattato con Brenno, capo dei Galli, la resa e la liberazione della città, egli così si rivolse al suo popolo, secondo quanto ci riferisce lo storico Livio: “Non senza ragione gli dei e gli uomini scelsero questo luogo per fondare la città: dei colli saluberrimi, un fiume adatto per trasportare le biade dai paesi dell’interno e le merci dal mare…” grazie al celebre discorso di Furio Camillo i Romani tornarono alle loro case, il seguito è noto a tutti!

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